Sacrificio

Sacrificio – Non viziarmi se mi vuoi bene

Sacrificio – Accontentate vostro figlio in tutto e per tutto?
Non sapete dire no alle sue continue richieste?
Cercate di evitargli ogni problema?
Attenzione, siete sulla cattiva strada,
perché l’abitudine a superare le difficoltà
e a sopportare le fatiche
è un mezzo educativo ancora oggi preziosissimo

Sacrificio – Ciò che state per leggere
è sfrontatamente stonato
per i nostri giorni.

Viviamo, in effetti, nella società
della bambagia, dell’ovatta.

Oggi si tenta di addolcire tutto:
il caffè è decaffeinato,
e il tonno è così tenero
che si taglia con un grissino,
i “sofficini”, poi, trionfano,
l’auto è così comodosa,
e le ulive sono senza nocciolo…

Certo non c’è contesto peggiore
nel nostro tempo, al fine di parlare
di educazione al sacrificio,
alla difficoltà, alla sobrietà.

Eppure, è un discorso
che facciamo senza arrossire,
tanto crediamo totalmente
nella sua valenza pedagogica.

Sacrificio – Stop alla pedagogia dolce e debole

Ad esempio: basta che il bambino
si faccia il minimo graffio
e tutti sono in allarme:
la madre corre a prendere il cerotto,
il papà si precipita sul disinfettante,
i nonni sospirano:
«Chissà come ti sei fatto male!».

Forse il piccolo non ci badava neppure,
ma, visto tanto interessamento
e tanta ansia, pensa:
«Già, devo proprio essermi fatto male!».
E giù a piangere…

Purtroppo, la scenetta descritta
è sempre più frequente.
Perché?

Perché si ha una paura esagerata
della sofferenza.
La si vorrebbe eliminare del tutto.
Al giorno d’oggi, infatti,
prevale la pedagogia dolce e debole.

Ma la vita non è né dolce, né debole:
troppe volte è amara e pesante.

Per questo motivo,
mettere un figlio
al riparo da ogni dolore,
da ogni difficoltà,
significa tradirlo.

Marcello Bernardi, il noto pediatra
e pedagogista italiano, non ha dubbi:

«Il pensiero di poter evitare al proprio figlio
tutte le battaglie, le delusioni, i dispiaceri,
e tutte le mortificazioni, è un pensiero folle,
perché la vita non è così.
Anzi, è ben diversa.
La vita è fatta anzitutto di combattimenti».

E, dunque,
dobbiamo educare il figlio
anzitutto al combattimento.
Ma in che modo?
Ci limitiamo a proporre due piste.

Un calmiere alle continue richieste

Mettere il calmiere
alle continue richieste del ragazzo,
è una prima via
al fine di farlo incontrare con le difficoltà
ed allenarlo a superarle.

La vita, sottolineiamo,
non è un continuo lecca-lecca.

Ecco perché, ad un certo punto,
bisogna pure dire la parola che,
attualmente, a tanti costa: «Basta!».

Chi non ha mai sentito genitori
ragionare in questi termini:
«Non vogliamo che i nostri figli soffrano
quello che abbiamo sofferto noi;
non vogliamo che facciano la nostra vita».

E così, con questa giustificazione,
danno al figlio non solo tutto il necessario,
ma anche il superfluo e qualcosa di più.

Nessuno ci fraintenda.
Non vogliamo certo vedere i ragazzi soffrire,
e neppure vogliamo tornare al pane nero…

Quando invitiamo a mettere il calmiere
ai continui desideri del figlio
(«Me lo compri?», «Voglio questo!»,
«Regalami quello»…) vogliamo ricordare
precisamente almeno tre verità pedagogiche
abbondantemente provate.

La prima:
chi non fa niente
al fine di guadagnarsi la vita,
finisce col perderla.

Il premio Nobel per la fisica 1984,
Carlo Rubbia, confessa:

«Sono contento di non essere stato viziato.
Considero una sfortuna
avere dei privilegi nell’infanzia…
Trovo che nascere in una situazione
di sana povertà, sia il miglior bagaglio
che si possa dare al bambino».

Inoltre, la seconda verità pedagogica
che vogliamo ricordare è che
i risultati di una vita “protetta”,
lontana da ogni limite,
da ogni difficoltà,
sono ben più disastrosi
di una vita non sempre facile.

Accontentatelo in ogni capriccio,
e sicuramente avrete un ragazzo
a bassa tensione,
un ragazzo devitalizzato;
un figlio con la grinta del pesce bollito.

Infine, la terza certezza
che ci spinge a proporvi
di mettere il calmiere
alle continue richieste del ragazzo
è precisamente la convinzione
che troppo «benessere»
finisce con l’uccidere l’«essere».

Quando la persona umana
non ha più da faticare, da combattere,
da raggiungere, da costruire e
da battersi per qualcuno o per qualcosa,
è come se fosse morta.

Il benessere non è una meta,
ma una trappola!

Bentornato sacrificio

La seconda pista che proponiamo
al fine di educare
a superare le difficoltà della vita
è ancora più sicura
di quella fin qui descritta;
più sicura perché più diretta.

È precisamente la pista del sacrificio.

Anche qui una parola antipatica, una parola
da non adoperare più, attualmente.
Una parola sconcia.

Eppure, il sacrificio
è una legge psicologica
che non ammette eccezioni.

Il sacrificio porta la volontà in palestra
e quindi, precisamente il sacrificio,
forgia l’uomo.

Ecco perché,
anche dopo Freud,
continuano a rimanere moderni
gesti come questi:

levarsi dal letto energicamente;
smetterla di ingurgitare continuamente
gelati, patatine, pop-corn;
non fare una telefonata chilometrica;
aspettare che tutti si siano serviti;
salutare per primo;
praticare il digiuno televisivo…

Qualcuno potrà anche sorridere.

In realtà,
sono precisamente questi semplici gesti
che di permettono di essere
davvero liberi «dentro».

Aveva del tutto ragione il filosofo
e psicologo statunitense,
William James,
a dire ai suoi studenti:

«Fate tutti i giorni
due cose che non vi piacciono,
solo perché preferireste non farle».

L’uomo che fa solo
quello che deve fare
è uno schiavo;
comincia ad essere libero
dal momento in cui
è padrone della propria volontà!

Allora, per favore,
lasciate che vostro figlio
se la sbrighi da solo!

Il successo, infatti,
non dipende dai cromosomi,
ma dalla disponibilità alla fatica.

A questo proposito, il più grande inventore
di tutti i tempi, Thomas Edison,
era deciso e preciso:
«Non c’è niente
che sostituisca il lavoro duro.
Il genio è fatto dell’1% di ispirazione
e del 99% di sudorazione».

Esatto!
Soltanto sul vocabolario
“successo” arriva prima di “sudore”.

Ricordatelo
e avrete la gioia
di aver educato un ragazzo
che tiene duro sempre;
un ragazzo che vive in salita!

Pino Pellegrino, «Non viziarmi
se mi vuoi bene», in
“Noi. Genitori & Figli”,
Mensile di vita familiare,
Supplemento ad “Avvenire” del
28 marzo 1999, n. 18, Anno III, pp. 20-22.

Foto: Non viziarmi se mi vuoi bene /
coastmagazine.com.au

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