Massimiliano Maria Kolbe

Massimiliano Maria Kolbe morì alla vigilia dell’Assunta del ’41

Il gesto eroico di amore del Beato p. Massimiliano Maria Kolbe che ha dato la vita per un compagno di prigionia nel campo di Oswiecim il 14 agosto del ’41, vigilia dell’Assunzione di Maria Vergine al cielo, ripropone agli uomini del nostro tempo, credenti e non credenti, il senso e la nobiltà di un’offerta che ha acquistato nel momento e nelle circostanze storiche in cui si è compiuto, il valore di un simbolo.

Nel campo della morte, dell’odio, del disprezzo della vita, p. Massimiliano Maria Kolbe diventa volontariamente vittima di amore, testimone fino in fondo della sua scelta cristiana e religiosa e, come il Cristo, si dona senza misura al fratello condannato.

Sulla personalità di p. Massimiliano Maria Kolbe molto si è detto fin dall’indomani della sua scomparsa e dal giorno della sua beatificazione (17 ottobre 1971) e si è cercato di presentare questo santo del nostro XX secolo nella sua giusta dimensione umana, e religiosa. P. Massimiliano Maria Kolbe è il francescano autentico, il «cavaliere» di Maria, colui che ha creduto veramente all’Amore, colui che ha intuito i tempi nuovi (sul piano della tecnica e dei mass-media) di questa umanità in cammino.

A trentott’anni dalla sua eroica morte noi lo vogliamo ricordare, in primo luogo, come un testimone di Cristo. In tutta la sua vita p. Massimiliano Maria Kolbe si è conformato allo spirito e allo stile di Cristo. Nel seguire il Cristo con i voti evangelici della povertà, della castità e dell’ubbidienza, egli ha aperto la sua mente ed il suo cuore alle necessità di tutti gli uomini. Per tutti gli uomini si è fatto «servo fedele». Egli ha infatti servito in Polonia ed in Giappone migliaia e migliaia di fedeli di Cristo, disponendo i loro cuori ad accettare il progetto religioso e cristiano che andava predicando con i suoi gesti profetici, con il suo esempio, i suoi scritti, la sua parola stampata nei quotidiani da lui progettati e diretti, nei mensili e nei settimanali che diventavano la voce di Dio che toccava quanti avevano sete di verità, di giustizia e di amore. Per questa sua disponibilità senza limiti alla volontà di Dio egli diventa l’evangelizzatore dei nuovi tempi della Chiesa.

«…Egli viveva giornalmente di Dio. A Dio ci attirava tutti – è questa la testimonianza di Alessandro Dziuba compagno di prigionia – e desiderava che noi si vivesse bene, che si sopportasse bene la vita del lager. Aveva addirittura in sé una specie di calamita con cui ci attirava a sé, a Dio e alla Madre Santissima. Ci parlava spesso di Dio e ci inculcava che Dio è buono e misericordioso. Il servo di Dio desiderava convertire l’intero lager…».

Se questa è stata la conclusione della sua breve esistenza (è vissuto appena 46 anni, era infatti nato l’8 gennaio del 1894) vuol dire che p. Massimiliano Maria Kolbe nell’arco di tutta la sua vita ha sentito in sé l’urgenza di questo annuncio cristiano fino ad abbandonare la propria patria per andare con altri suoi confratelli, missionario in Giappone ed impiantare in questo angolo di terra dai ciliegi in fiore, una nuova missione nel nome di Maria.

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P. Massimiliano Maria Kolbe è stato per tutta la sua vita un cantore delle meraviglie di Maria. Nella Vergine ha fermamente creduto, per lei ha lasciato tutto per donarsi a tutti. Di Maria è stato figlio devoto e messaggero indefesso dei suoi prodigi. Basta leggere i suoi scritti per capire come operava questo «folle dell’Immacolata». E la Vergine lo conduceva per mano, per le strade del mondo, indicandogli i momenti di contemplazione, di azione, di lotta, di grazia. «P. Massimiliano Maria Kolbe – disse Paolo VI all’omelia di beatificazione – è stato un apostolo del culto della Madonna, vista nel suo primo, originario, privilegiato splendore, quello della sua definizione di Lourdes: l’Immacolata Concezione. Impossibile disgiungere il nome, l’attività, la missione di p. Massimiliano Maria Kolbe da quello di Maria Immacolata. È lui che istituì la Milizia dell’Immacolata, qui a Roma… È noto come l’umile e mite francescano con incredibile audacia e con straordinario spirito organizzativo, sviluppò l’iniziativa e fece della devozione alla Madre di Cristo, contemplata nella sua veste solare (cf. Ap. 12,1) il punto focale della sua spiritualità, del suo apostolato, della sua teologia».

In un foglio di propaganda che andava tra le mani del popolo in milioni di copie, p. Massimiliano Maria Kolbe scriveva così il suo programma: «L’Immacolata: ecco il nostro ideale!

Avvicinarci a Lei e renderci simili a Lei, lasciare che Ella domini il nostro cuore e tutto il nostro essere, che Ella viva ed operi in noi e per mezzo nostro, che Ella stessa ami Dio con il nostro cuore, per appartenere interamente, senza restrizioni a Lei: ecco il nostro ideale!

Irradiare poi l’Immacolata nel nostro ambiente, attirare a Lei le altre anime, affinché dinanzi a Lei si aprano anche i cuori dei nostri vicini ed Ella regni nel cuore di tutti e dovunque, senza distinzione di razza, di nazionalità e di lingue, come pure nel cuore di tutti gli uomini che vivranno in ogni tempo, sino alla fine del mondo: tale è li nostro ideale!

Inoltre che la vita dell’Immacolata si radichi in noi sempre più profondamente, di giorno in giorno, di ora in ora, di momento in momento, e ciò senza alcun limite: ecco il nostro ideale!.

E che la sua vita si sviluppi similmente in ciascuna anima che è e che sarà in ogni tempo: ecco il nostro ideale!».

Dal 16 ottobre ad oggi, Giovanni Paolo II, ha riproposto ai giovani, ai sacerdoti, alle anime consacrate, e al mondo intero la testimonianza di questo religioso francescano conventuale polacco.

Nel suo recente viaggio in Polonia, il discorso del 7 giugno al campo di concentramento di Oswiecim resta un grido profetico. Angoscia e speranza, tormento e vita, passato e futuro dell’umanità sono state coraggiosamente presentate da questo «uomo inviato da Dio» che è ritornato sui luoghi della morte e dell’odio per gridare a tutti gli uomini, una frase tipicamente kolbiana: «Solo l’amore crea!».

Franciszek Gajowniczek, il padre di famiglia salvato da p. Massimiliano Maria Kolbe, con Giovanni Paolo II -photo web source / sendarium.com

La morte di p. Massimiliano Maria Kolbe, simile a quella di Cristo, è avvenuta in un luogo che fu costruito per la negazione della fede e per calpestare radicalmente non soltanto l’amore umano, ma tutti i segni della dignità umana, dell’umanità.

Dall’alto del grande altare eretto sul campo, Giovanni Paolo II ha parlato a tutti gli uomini di buona volontà non soltanto per ricordare una triste pagina di storia, ma per riaffermare il primato dell’amore, come è stato vissuto da p. Massimiliano Maria Kolbe, di professione sacerdote cattolico; di vocazione figlio di San Francesco; di nascita, polacco; per grazia di Dio e per giudizio della Chiesa: beato.

Il testo che Giovanni Paolo II ha pronunciato ad Oswiecim è già un discorso storico. Sarà un costante punto di riferimento per gli anni futuri, ogni qual volta si dovrà parlare di libertà, di diritti umani, di pace, di amore, di fratellanza universale.

Soprattutto i giovani di questo nostro tempo violento, inquieto e turbato – come il Papa ha ricordato ancora una volta domenica scorsa alla gioventù polacca del movimento «Luce e Vita» – possano vedere in p. Massimiliano Maria Kolbe, un amico con il quale percorrere insieme l’avventura della vita, un fratello e un padre che ha percorso la via dolorosa del calvario immolandosi sulla croce del lager, in silenzio, in attesa della beata speranza.

E la Vergine lo chiamò a sé, alla vigilia della sua Assunzione in cielo.

Gianfranco Grieco, «P. Massimiliano Kolbe testimone di amore. Morì alla vigilia dell’Assunta del ’41», in “L’Osservatore Romano”, mercoledì 15 agosto 1979, p. 2.

Foto di apertura: P. Massimiliano Maria Kolbe / adoratrici.it A seguire Franciszek Gajowniczek, il padre di famiglia salvato da p. Massimiliano Maria Kolbe, con Giovanni Paolo II -photo web source / sendarium.com

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