Madre

Madre: Maria e il popolo di Dio. L’insegnamento di Giovanni Paolo II

Ormai – felicemente – si sa che non v’è intervento del Papa senza un accenno a Maria. Si tratti di testi elaborati e a grande respiro come encicliche e costituzioni, o di semplici esortazioni quasi improvvisate: lasciando che l’animo parli e riveli ciò che va «conservando» e «meditando».

Una pia abitudine? Anche. Giovanni Paolo II direbbe: una «santa abitudine del cuore». Da benedire. Ricevuta da un’educazione cristiana attenta pure alle dolcezze della rivelazione.

Non si pensi, tuttavia, unicamente ad una pratica devota e destituita di fondazione dottrinale. Se poi vi si scorge anche del sentimento, ci si deve chiedere perché mai una qualche vibrazione emotiva debba mancare quando si parla della Madre. E se il «cuore», sotto la sollecitazione dello Spirito, non abbia delle intuizioni che, solo dopo, la teologia articola in analisi e sintesi. E se pure in seguito alla teologia, il «cuore» non ne recuperi il contenuto, ma con senso di stupore e di tenerezza ignoto ai «trattati». Contemplazione abbandonata e rigore dogmatico, dunque.

A modo d’esempio documentario, tra i testi più significativi si rilegga la preghiera pronunciata a Guadalupe il 27 gennaio, il n. 22 della «Redemptor hominis», il paragrafo conclusivo della Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo, la consacrazione fatta a Jasna Góra il 4 giugno, ecc. E, retrospettivamente, si vada a rivedere l’ultima predica degli esercizi predicati in Vaticano nel marzo del 1976: «Segno di contraddizione».

Si riscontra già materiale almeno per una tesi di laurea. Qui ci si può limitare a qualche appunto fugace, ma forse non inutile.

Maria – come in un atto d’amore – è considerata prevalentemente secondo due prospettive: una prima, che la contempla più quasi al modo di una creatura a sé stante: unita a Dio in modo unico, ma quasi oggettivata nella sua umile grandezza. Tale considerazione, però, prelude sempre ad una visuale per cui Maria coinvolge, abbraccia, include nel mistero di grazia di cui è l’espressione più alta e più prossima. Distinta nei confronti dei fedeli quanto basta perché la si possa amare. E si è a Maria «Immagine» e «Madre» della Chiesa.

L’altra prospettiva.

I due termini – «Immagine» e «Madre» – sembrano accordarsi a fatica in una lettura superficiale. E tuttavia, se si entra – con timore e trepidazione gioiosa – nel mistero di Dio, si avverte che Maria non si pone soltanto come il «simbolo» e l’«anticipazione» perfetta di ciò che è e sarà la Chiesa, ma anche – in unità con Cristo – in qualche modo come il principio genetico della Chiesa stessa mediante lo Spirito «emesso» dal Signore Gesù sulla Croce e «inviato» nella Pentecoste. E «nel cuore» anche Maria era crocifissa. Ed «erano perseveranti nella preghiera» con Maria Madre di Gesù. Al punto che la stessa maternità verginale della Chiesa deve dirsi offerta e come partecipata a quella di Maria. Una maternità verginale che è assunta come dono e come impegno da tutta la comunità, ma che trova nel ministero sacerdotale ed episcopale, e soprattutto nel «servizio» di Pietro, una sua espressione peculiare. Non ha, proprio il Papa, parlato di una nuova «paternità» e «quasi addirittura di un’altra maternità», riferendosi ai preti?

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I rilievi soltanto segnalati a modo di piste di riflessione – o di contemplazione, ancora – hanno delle intuitive ripercussioni sullo stile di vivere nella Chiesa e di vivere la Chiesa. E Dio conosce se se ne sentiva il bisogno dopo un periodo di certa aridità – e paura, forse, e angustia – teologica.

Per esempio. Richiamare la dimensione mariana della Chiesa dice dipendenza radicale da Dio. Dice il «Fiat» che connota l’intera esistenza cristiana come docile «sequela», come sospensione attonita e grata che si lascia salvare dal Signore. Dal Signore che precede e che segue e che vuole la nostra cooperazione, ma in un capitolare dell’autonomia, il quale segna uno strutturale essere relativi a… Essere liberati dal peccato per grazia. Essere affondati in una vita divina di cui non si ha diritto, ma che appare – ed è – solo inane desiderio, se siamo lasciati a noi stessi. Essere mandati da… Ecc. Che è quanto riscoprire l’assoluta «Signoria» di Cristo. Che è quanto il veder cadere le nostre pretese di sufficienza. Agostino direbbe: umiltà, umiltà e ancora umiltà. La Chiesa vive e opera così.

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E vi può essere unità della Chiesa solo se vi si esperimenta uno spirito sponsale e materno. L’appartenere silenzioso e stupito della gratitudine che risponde ad un dono. E il raggiungere una fecondità che non è a misura delle nostre opere, ma della potenza di Dio che usa ciò che è debole per compiere le sue meraviglie. L’unità dei diversi ministeri e carismi. L’unità delle varie vocazioni che si confrontano, si integrano e si riconoscono come tutte contenute nell’unico grembo. «Sotto il cuore della Madre», direbbe Giovanni Paolo II con delicatezza squisita: quasi a suggerire che il bimbo, se anche ignora la Madre, non per questo non ne è meno come fasciato, custodito, dolcemente sollecitato. E avverte quasi d’istinto il desiderio di conoscerla sempre più. Conoscerla, appunto, come Madre. Dove il rigore concettuale è come incluso e animato dal turgore dell’affetto.

E l’unità spinge alla speranza. E la speranza spinge all’annuncio e all’impegno per l’uomo, quando non ci si ripiega su se stessi perché si sperimenta gioiosamente d’avere la Parola risolutiva da recare e il Dio a cui si appartiene è il Dio dei «poveri» che devono essere liberati. «In fretta si avviò ad una regione montagnosa». «Per voi e per tutti», detto nell’intimo anche dalla Madre sul Calvario. «Andate, predicate, battezzate».

Di nuovo: se il cristianesimo non è un peso, ma – perché no? – una consolazione impegnante in modo paradossale proprio perché attraversata e come intrisa di una venatura materna. E addio ai nostri timori di una Chiesa stanca e quasi prossima all’estinzione. Una Madre non ha età e si consuma fino all’ultimo – fino all’incontro risolutivo e beatificante – con la freschezza dell’inizio del concepimento: quando avverte che non è più sola. E «portavi nel tuo grembo di fanciulla il Creatore del mondo». E il Padrone amoroso della storia. «Aprite le porte a Cristo. Non abbiate paura: aprite le porte a Cristo». Il Cristo portato sulle braccia da Maria: nella grotta di Betlem, o alla deposizione dalla Croce, o nel segreto del Cenacolo. E le porte sprangate per timore si spalancano. Fino agli estremi confini del mondo. Per sempre.

Né, una Madre, si lascia debilitare dalle difficoltà che incontra, dalle ingiustizie che subisce, dalle incorrispondenze che il mistero della libertà umana le riserva. È pronta, piuttosto, al perdono e all’aiuto senza stanchezza e senza riposo. Non conosce vendetta o prepotenza. Il dono del servizio pudico e immisurato e fiducioso è l’atteggiamento suo perenne. «Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi». E al di là di questo: «Non abbiate paura – di nuovo -: io ho vinto il mondo». L’ha vinto morendo in una derelizione di tenebre dentro cui si nascondeva il bagliore della resurrezione. L’Assunta, che è Madre in tutta la sua attenzione, in tutta la sua sensibilità, tenerezza, offerta, commozione. In tutto il suo coraggio. L’Assunta che è la Chiesa già giunta al traguardo, e noi pellegrinanti la seguiamo in lacrime e tentennamenti e riprese. La seguiamo nella certezza che ci aspetta e che il suo sarà anche il nostro «destino». Una chiamata. Un lungo abbraccio dopo tanto perdono.

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Serie riflessioni dottrinali. Ma perché senza sentimento? Un senti-mento – o la commozione del pregare? – robusto e deciso come quello di una Madre, «debole donna» e «Signum magnum». «Proprio nei periodi in cui Cristo, e quindi la sua Chiesa, il Papa, i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e tutti i fedeli diventano il Segno che suscita la più accanita e premeditata contraddizione, Maria appare particolarmente vicina alla Chiesa, perché la Chiesa è sempre come il suo Cristo… Se in tali periodi, in tali momenti della storia, nasce un singolare bisogno di affidarsi a Maria… un tale bisogno scaturisce dall’integrale logica della fede, dalla riscoperta fino in fondo di tutta l’economia divina e dalla comprensione dei suoi misteri».

Sandro Maggiolini, «Maria e il popolo di Dio. L’insegnamento di Giovanni Paolo II», in “L’Osservatore Romano”, mercoledì 15 agosto 1979, p. 2.

Foto: Dal web

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