Dante Carraro

Dante Carraro – Per immaginare il futuro serve un respiro lungo

Dante Carraro – Marburg ed Ebola, Hiv e febbre gialla
li conosco alquanto bene e sono parte certamente
della vita professionale di tutti coloro
che hanno scelto principalmente
di fare cooperazione sanitaria
soprattutto in paesi a sud del Sahara.

Eppure sono stati sempre lì,
relegati soprattutto nell’Africa più nera,
a dire il vero nell’ultimo miglio
della società e della civiltà.

Quando l’epidemia di Covid
ha iniziato a farsi strada
e guadagnare bruscamente terreno
dalla Cina fino ai paesi europei,
improvvisamente ci siamo ritrovati
in uno scenario ovviamente capovolto».

Così Dante Carraro, direttore dal 2008
dell’ong Medici con l’Africa Cuamm,
commenta sinteticamente
i due anni di pandemia
che hanno investito il globo

e che oggi purtroppo
vedono anche il continente nero
drammaticamente colpito, soprattutto
in Sudafrica, Namibia e Mozambico.

L’intervento di Dante Carraro fa parte del volume
Il mondo dopo la fine del mondo, edito da Laterza
(pagine 548, euro 20), in cui quasi 50 personalità
in gran parte italiane rileggono
questo nostro recente passato al fine di
cercare di individuare risposte per il futuro.

Con la sua esperienza medica,
Dante Carraro ad esempio indica nella necessità
di considerare la salute nel suo orizzonte più ampio
e in una correlazione stretta con l’ambiente
due strade indispensabili da seguire,

così come pure l’importanza di ritrovare
un sistema sanitario integrato – come accade
precisamente in Africa, con i tre livelli
di intervento comunitario, distrettuale e ospedaliero –
senza delegare tutto al livello ospedaliero,
via al contrario preferita in Italia ed Europa.

Ma altre due parole, umiltà e rispetto,
sono espressamente rimarcate
dall’antropologo Francesco Remotti
pensando alla relazione fra gli uomini
e il resto del mondo vivente:

è chiaramente un invito a rinunciare all’ubris,
a quella che i greci consideravano
la tracotanza verso il divino
e che nel corso dei secoli
si è trasformata in dominio assoluto sulla natura.

Lo stesso concetto, con diverse parole,
è ribadito dall’economista Fabrizio Barca,
che rifacendosi a un pensiero espresso
dalla scrittrice indiana Arundhati Roy

apertamente sollecita tutti
a lasciarsi alle spalle odio e avidità
e a dotarsi al contrario
di un bagaglio più leggero
cosi da essere
«pronti a immaginare un mondo diverso».

Se c’è qualcosa che in generale colpisce
in questi svariati contributi
è precisamente la prevalenza di uno sguardo
politico-economico-giuridico:

infatti da Prodi a Letta, da Cipolletta
a Saraceno, da Zagrebelsky a Viesti,
da Cassese a Tito Boeri,
a emergere sono le analisi
che entrano nel merito
alla crisi economica e alla geopolitica
legate al Covid.

Niente di male, ovviamente, e frequentemente
peraltro si leggono intuizioni interessanti,
ad esempio quando Lucio Caracciolo rileva
come gli Stati Uniti rimangano tuttavia
l’unica superpotenza mondiale
anche rispetto all’avanzata della Cina,

ma raramente risalta una visione umanistica
capace di delineare un orizzonte più ampio.
E in particolare la mancanza
di riferimenti a documenti come
Laudato si’ e Fratelli tutti
in questo senso è piuttosto indicativa.

Un cenno tuttavia pare farvi
il filosofo americano Michael Sandel
quando conclude il suo breve saggio
auspicando che sia possibile
«riemergere da questa crisi
con un’economia che ci consenta di dire
e di credere che siamo tutti sulla stessa barca».

Come allora non dimenticare
le frasi di papa Francesco
solo in piazza San Pietro
il 27 marzo del 2020,
icona potente non solo per i cristiani?

Anche per Carlo Petrini,
il fondatore di Slow Food,
quella del coronavirus può essere una chance
al fine di cambiare il mondo, forse l’ultima
che l’umanità ha per salvarsi,

quella cioè di «aprire gli occhi
e trovare nuove ed urgenti soluzioni
alla crisi climatico-ambientale
e a quella economico-sociale».

Giudizio fatto proprio anche
dal sociologo Stefano Allievi,
per il quale si uscirà dalla pandemia
grazie anzitutto a una società
capace di previsione e condivisione
ma anche di lotta vera contro le disuguaglianze.

E inoltre dal politologo Carlo Galli,
che vede nella tragedia che stiamo vivendo
«l’occasione per dirci la verità
su ciò che non funziona
nell’attuale paradigma economico».

Da parte sua il sociologo Ilvo Diamanti
sottolinea soprattutto gli intrecci fra pandemia,
infodemia e demopatia
che mettono peraltro a rischio le nostre democrazie,

mentre per il politologo Vittorio Emanuele Parsi
occorre andare oltre le teorie del liberalismo,
del marxismo e del realismo politico,
che hanno del tutto «esaurito la loro capacità
di cogliere il reale e l’umano».

E pertanto la cultura?
Ne parlano abbondantemente
Giorgio Zanchini e Paola Dubini,
che affrontano la questione
in maniera certamente originale e attenta.

Per il giornalista e conduttore radiofonico
«abbiamo toccato con mano
le grandezze e le miserie dell’era digitale»,

mentre per la studiosa di management culturale
la riscoperta personale dei valori legati alla lettura
e alla fruizione di arte, teatro e musica
che abbiamo vissuto soprattutto nel primo lockdown
deve rimanere un obiettivo costante.

Anche grazie a essa potremo superare
questo tempo vissuto «senza riparo»,
come d’altra parte mette in luce
il critico letterario Guido Mazzoni

rilevando espressamente come
«per la prima volta dalla fine
della Seconda guerra mondiale
i paesi occidentali debbono fronteggiare
la morte di massa».

Roberto Righetto, «Per immaginare il futuro
serve un respiro lungo», in “Avvenire”,
domenica 2 gennaio 2022, p. 21.

Foto: Copertina de «Il mondo
dopo la fine del mondo» / laterza.it

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