Crash

Crash – Internet: gli anticorpi al grande crash

 

Il nuovo libro della spagnola Paniagua
mette in guardia contro i rischi
di un collasso improvviso della Rete, più fragile
di quanto non siamo abituati a pensare
«Il fondamento restano le connessioni umane.
Essere consapevoli delle vulnerabilità
è il primo passo per essere meglio preparati»

Crash – «Internet crollerà
e allora sperimenteremo ondate di panico»,
avvertiva nel 2014
il teorico della scienza cognitiva
Daniel Dennet.

Una preoccupazione condivisa
da eminenti tecnologi
come il fondatore di internet,
Vinton Cerf.

È stata il punto di partenza
delle ricerche intraprese
da Esther Paniagua, giornalista spagnola
specializzata in scienza e tecnologia,
per il saggio Error 404
(pagine 262, euro 19,50)
pubblicato da Einaudi

nella traduzione di Marta Zucchelli,
in cui analizza l’impatto che avrebbe
un collasso globale della Rete
e gli scenari apocalittici, che
«i governi, gli Stati e noi tutti
non siamo preparati ad affrontare».

«La domanda non è se ci sarà,
ma quando,
perché è solo questione di tempo,
e abbiamo già avuto saggi
a scala regionale o locale»,
spiega ad “Avvenire” l’autrice.

«Il Covid-19 e l’accelerazione
imposta alla digitalizzazione,
con l’aumento della dipendenza tecnologica,
hanno aggravato i rischi

poiché tutto – infrastrutture critiche, ospedali,
amministrazioni pubbliche, i nostri corpi,
i mercati, gli elettrodomestici, ecc.-
dipende da internet.

Un crash distruggerebbe le nostre vite.
E, come per la pandemia,
stiamo ignorando i segnali d’allarme»,
assicura.

Nell’introduzione afferma che Error 404
non è una distopia,
ma ha l’ambizione di anticiparla:
in che senso?

Crash – Essere consapevoli
della vulnerabilità della Rete
e della nostra è il primo passo
per essere meglio preparati,

perché quante più cose connettiamo
tanto più siamo vulnerabili
e più ampio sarà l’effetto domino
in caso di attacchi.
Anche se una cyber-sicurezza
al 100% non è possibile.

Per l’invasione in Ucraina,
conosciamo le drammatiche conseguenze
dei tagli di gas o elettricità,
ma si parla poco
di quelle potenzialmente più catastrofiche
di un possibile crash (crollo) di internet:
perché?

Crash – È una minaccia concreta e temuta
da addetti alla sicurezza e dai governi.

A ottobre sono stati tranciati
cavi sottomarini di fibra ottica
alle Shetland, in Scozia,
dove la popolazione è rimasta
quasi al buio telematico e telefonico.

Guarda caso,
nella zona incrociavano pescherecci russi
che avevano ottenuto la licenza
per navigare fra molte polemiche,

perché il governo britannico
aveva avvertito
dei rischi di attentati
a queste infrastrutture,
che trasportano il 99% del traffico globale.

Dalla caduta delle connessioni
quanto tarderebbe a diffondersi il caos?

Crash – Come Dennet, anche Danny Hillis,
pioniere dell’informatica, o Jaron Lanier
hanno messo in guardia sul fatto
che abbiamo costruito un sistema
di cui comprendiamo le parti separatamente,
ma che utilizziamo oltre i limiti
per i quali era stato pensato.

I servizi di intelligence segnalano
che sarebbe sufficiente
un blackout online di 48 ore
a propagare il caos,
perché la gente inizi a temere
per la sopravvivenza.

In Belgio,
un cyberattacco nel 2021
al principale server di telecomunicazioni,
durato solo poche ore,
paralizzò servizi critici,
ospedali, istituzioni.

Se si prolungasse,
si aprirebbero scenari impensabili.

Enumera almeno cinque vie
per provocare la débâcle della Rete,
fra le quali errori nei protocolli di sicurezza…

Crash – Già nel 1998
un gruppo di hacker “etici”
in un’audizione al Senato degli Stati Uniti
dichiarò di aver individuato un punto debole
nel protocollo base BGP,

che regola i flussi di dati,
mediante il quale
avrebbero potuto far crollare
l’intera Rete in 30 minuti.

È stata l’attualizzazione di questo protocollo,
secondo la versione di Meta,
che il 4 ottobre 2021
provocò la caduta di FaceBook,
WhatsApp e Instragram
vissuta come un’apocalisse
da miliardi di utenti.

Queste falle persistono?

Crash – Sì e sono intenzionali.
Sono sfruttate da alcuni governi
per esigere alle compagnie tecnologiche
che i codici di sicurezza
non siano fortemente crittografati

perché questo renderebbe più difficile
ai servizi di spionaggio
l’accesso dalle porte di dietro.
Così i sistemi sono più vulnerabili
e noi più esposti.

Segnala un’altra importante criticità
nel DNS. È vero che è protetto
da quattordici guardiani a livello planetario?

Sì, ne ho intervistato uno,
Joäo Damas, un portoghese
che vive in Spagna
e lavora per l’Asia Pacific Network
Information Center.

Il DSN è il sistema di nomi di domini,
che collega un Url a una direzione.

È come l’elenco telefonico di internet:
se si cancellasse,
non potremmo accedere ai contenuti.

Per proteggerlo, l’ICANN,
l’organo di governance,
creò nel 2010
una ulteriore cappa di sicurezza,
associata a chiavi digitali
a loro volta collegate a chiavi fisiche,

che consegnò a 14 persone
selezionate a livello globale.

Si riuniscono due volte l’anno
sulle due coste degli Stati Uniti,
dove sono i server,
per aggiornare le password,
che nessuno conosce per intero.
Suona a film di James Bond,
ma non ci mette a salvo da tutti i pericoli.

Lei ne indica molti capaci
di provocare apagones, quali?

Crash – L’oscuramento cui ricorrono autocrazie
e governi populisti per silenziare le proteste,
la via più diretta alla censura,
come in Iran o quando l’India
ha isolato il Cachemire durante sette mesi.

O anche gli attacchi informatici
prodotti da masse di dati,
che saturano la rete
provocando il collasso dei servizi,
com’è accaduto al sistema sanitario
in Catalogna.

Le incursioni con malware,
per infettare banche, ministeri,
giornali, aziende,
e sequestrare dati a fini di riscatto,
che provocano perdite miliardarie.

Fino alle tempeste solari:
una della stessa intensità
dell’evento di Carrington,
che nel 1850
distrusse le telecomunicazioni,
avrebbe oggi effetti devastanti.

Nella guerra informatica
l’Europa ha aumentato la resilienza?

Crash – Vagamente.
La Ue sta regolamentando la cybersicurezza
con il Cyber Resilient Act, ma la resilienza
passa per l’alfabetizzazione della cittadinanza,
perché l’anello più debole siamo noi.

Il 90% dei cyber attacchi
richiede qualcuno che clicchi su un link
o scarichi un programma o un film online.

Dedica parte del saggio alla disinformazione,
alla propagazione di messaggi di odio,
e alla discriminazione automatizzata,
al “capitalismo della sorveglianza”
dei colossi tecnologici.
Dopo l’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk,
siamo ancora in tempo a frenare una dittatura digitale?

Crash – Sì, ne sono convinta.
Twitter aveva criticità
già prima che Musk l’acquistasse.

La sua gestione è molto pericolosa,
ha smantellato l’intera struttura
per la sicurezza del social.
Ha introdotto un pagamento, che è un modo
di de-democratizzare la piattaforma
e creare utenti di serie B.

L’Onu gli ha ricordato
che la libertà di espressione
non si estende all’istigazione all’odio,
alla discriminazione e alla violenza.

Siamo tuttavia in tempo
a stabilire meccanismi di regolazione.
Penso a un’organizzazione sovranazionale,
un’Alleanza per la governance digitale
fra nazioni democratiche,

per definire norme,
progettare nuove istituzioni e procedure,
e integrare nuovi diritti,
come quello alla sconnessione.

È ottimista, nonostante tutto?

Crash – Il mio è un ottimismo critico.
Il fondamento sono le connessioni umane.
Come per il cambio climatico,
siamo sempre più coscienti dell’insostenibilità
dell’attuale modello estrattivo
e più esigenti nei confronti della politica
perché si diano cambi.

Gli audit di impatto sociale dell’IA,
degli algoritmi, dei software
diventeranno obbligatori
per garantire che le tecnologie siano usate
come opportunità e ridurre i rischi.

Nel libro cito la teoria dei cicli
delle rivoluzioni tecnologiche
di Carlota Pérez,
in cui sostiene che siamo vicini
al punto di flessione
della quinta rivoluzione tecnologica,

quella dell’informazione,
che si produrrà dopo il collasso sociale,
climatico, economico, etico
e di valori che stiamo vivendo.
E darà luogo a una nuova età dell’oro.
Il peggio è alle spalle.

Paola Del Vecchio, «Internet:
gli anticorpi al grande crash», in
“Avvenire”, martedì 3 gennaio 2023, p. 20.

Foto: Esther Paniagua autrice del libro
«Error 404. Siete pronti per un mondo
senza internet?» / elmostrador.cl

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