Columella

Columella: «L’arte dell’agricoltura»

 

Columella – «L’arte dell’agricoltura»
di Lucio Giunio Moderato Columella
che l’editore Einaudi ci offre
(Collana «I Millenni»),
nella traduzione chiara e precisa
di Rosa Calzecchi Onesti,

non è certamente libro
che possa essere di grande utilità
agli agricoltori di oggi,

che in fatto di agricoltura
ne sanno un pochino di più
di un pacifico gentiluomo di campagna
dei tempi dell’imperatore Nerone
di piuttosto infausta memoria.

***

Columella – Anacronistico
«L’arte dell’agricoltura» di Columella,
come ristampa?
Ma no!
Sono pagine graditissime dagli intellettuali
costretti a vivere in città.

Un libro dalla lettura riposante
in momenti così agitati
e in un certo senso utilissima
come benefico farmaco per molti nervi…

Non è dunque il caso di tormentarci
pensando fin dove l’industria (o l’uomo)
è arrivata ad inquinare l’aria,
l’acqua, il terreno, ecc.,

neppure quando vediamo
«L’arte dell’agricoltura» esposta
accanto a un grosso volume sull’ecologia
in una vetrina di una grande libreria milanese.

Tutt’al più si emette un nostalgico sospiro.
Così come ci sembra un lungo,
nostalgico sospiro quello di Carlo Carena
il brillante prefatore,
e intelligente annotatore, dell’opera
o, meglio, «capolavoro»
(il termine non è sprecato) columelliano.

***

Columella – Chi scrive
conosce personalmente Carlo Carena,
il filologo e studioso
dell’antica civiltà greco-latina,
e può dire che mai
come in questo caso
il prefatore si identifichi con l’autore.

E ci viene da sorridere,
pensando con quale gioia
egli si sia messo a tavolino

per scrivere la sua bella
e commossa introduzione
al libro vecchio di secoli
per il piacere del lettore
del nostro tempo.

E pensare poi che,
chi ha seguito gli studi umanistici,
anche se da tempo li ha abbandonati,
può concedersi il piacere
di confrontare la versione nitida
e pura di un consolante passo
con il testo latino stampato a fronte.

Tecnica agraria
ed elevazione dello spirito

Ma forse tutto questo non c’entra
(o al contrario c’entra)
con il contenuto del libro
che è, ci sembra,
di carattere tecnico.

Tecnico anche se nessuno tuttavia
può negare che la sua lettura
è nel medesimo tempo da intendersi
come elevazione dello spirito.
Come sembra il Carena suggerisca.

***

Columella – Anzi, il prefatore stesso,
e non crediamo di sbagliare,
leggendo «L’arte dell’agricoltura»,
mentre percorreva con l’autore
la sua magnifica proprietà
nella zona Nomentana,

doveva rievocare di certo
i dolci declivi del suo ritiro
ai margini del Cusio.

Lì trascorse la sua infanzia
e la sua adolescenza.
Oh, bei boschi di faggi e di castagni!

Certo la campagna romana,
alle porte dell’urbe neroniana,
doveva essere altra cosa,
ma la poesia molte cose trasforma
e Columella era poeta.

***

Columella – Molti poi,
leggendo «L’arte dell’agricoltura»,
riandranno sicuramente a Virgilio,
Catone, Varrone e magari a Lucrezio
a proposito o a sproposito,

a me invece
s’è affacciato alla mente
quel paese d’utopia che è «Erewhon».
E non si sorrida.

Con una differenza forse,
che il godimento
che il «countryman» Columella mi procura
è più pacato, più confortante,
perché il suo libro è più semplice, più sincero
di quello dell’autore di «Erewhon»,
di Butler insomma,

il cui prodotto a ben riflettere
è molto più abilmente sofisticato.
Ma lasciamo.

***

Columella – Buoni consigli
ma anche strani innesti.
Lasciamo e soffermiamoci
ancora un momento
su queste lontanissime
e pur ancora tanto fresche pagine.

Quelle ad esempio
che trattano della coltivazione degli alberi.
Curiosissime, e non solo.

Qui sì c’è qualcosa
che ancor oggi
ci può essere d’utilità.
Un servizio all’ecologia.

Per quanto concerne invece
la coltura della vite,
nulla è cambiato.

Quello che suggerisce
il bravo gentiluomo di campagna Columella
era poi quello
che mettevano in opera
i nostri nonni contadini,

anche se ai pronipoti
poco serve ragionare di vitigni
scelti con cura
e con maggior cura coltivati,
dal momento che hanno abbandonato
la vigna per la fabbrica.

***

Columella – Buone cose dice, ed utili,
per la coltura dei fiori, del citiso,
delle viole e delle rose.
Eccellenti consigli per i nostri giardinieri.

In quanto a quello
che riguarda la pratica degli innesti,
si potrebbe fare uno stralcio
e passarlo all’editore Hoepli,

perché ne faccia un volumetto
da inserire nella sua collana
di manualetti pratici.
Tutto ancora validissimo.

***

Columella – Ma vi è
anche qualche amenità.
L’innesto dell’olivo sul fico,
ad esempio.
Si pratica forse ancora?

Ai tempi di Columella
doveva essere frequente,
sebbene l’autore non dica
con quali risultati.

Che frutto ne poteva uscire?
Quale sapore poteva avere?
Da mangiarsi
o per trarre una certa qualità d’olio?
Rimaniamo nella curiosità.

A lettura terminata de
«L’arte dell’agricoltura» di Columella,
ripetiamo la battuta finale
del volterriano Candido
che il prefatore ci ricorda:

«Il faut cultiver son jardin!».
Sì, è una buona operazione ecologica.
E possiamo davvero dire grazie
al dimenticato Columella.

Giuseppe Rigotti, «Columella romano
nei campi di ieri», in “Avvenire”,
giovedì 16 marzo 1987, p. 9.

Foto: Lucio Giunio Moderato Columella,
«L’arte dell’agricoltura» /
libreriagrandangolo.it

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