Antonello

Antonello – Eustochia Calafato di Messina (1434-1485) – Clarissa
Ispiratrice di Antonello da Messina

 

Antonello – Quando Karol Wojtyla, l’11 giugno 1988,
venne a Messina al fine di celebrare la canonizzazione
della grande mistica Eustochia Smeralda Calafato,
dell’ordine delle Clarisse,
verosimilmente non immaginava
che stava per elevare agli altari
colei che ispirò il sommo artista Antonello da Messina.

Egli, infatti, è l’autore
di uno dei capolavori più celebrati e riprodotti,
l’«Annunciata» ovvero «Annunziata»,
che oggi col suo sublime volto gigliato
accoglie i visitatori di Palazzo Abatellis di Palermo.

Un’Annunziata «senza angeli»…
che colpisce per quella mano sospesa e protesa
che Longhi definiva
la «più bella mano della storia della pittura».

… C’è infatti quasi un «Codice Antonelliano»
a unire uno dei più grandi maestri del Rinascimento
e una mistica clarissa,
entrambi sullo sfondo del mitico Stretto di Messina,
luogo che ha naturalezza con leggende e segreti.

«Diria che d’Antonelo da Messina/
Ghè una Madona con un libro avanti,/
Che de sto Mondo i studij tutti quanti/
Nò i ghà certo una cosa cusì fina».

Così, infatti, scriveva Marco Boschin
nella sua Carta del navegar petoresco del 1660.

Boschin per di più ammirò il dipinto antonelliano
– datato 1475-76 –
precisamente a Venezia, città «belliniana»
dove l’artista peloritano si stabilì da protagonista,
come evidenziato anche dall’ultima biografia
su Antonello da Messina curata da Mario Lucco
e pubblicata per le edizioni del Sole-24 Ore.

Il volto magnetico e lieve dell’«Annunziata»
– riportato su poster, copertine, gadget, libri e riviste
e diventato in sostanza
un’autentica icona del nostro Quattrocento artistico –
potrebbe quindi essere quello della clarissa
che Papa Wojtyla ha voluto canonizzare
a oltre 500 anni dalla morte.

Una serie di saggi recenti – per esempio
quello dello studioso di storia messinese
Nino Principato
(pubblicato sulla rivista culturale «Moleskine»)
e quello di Daniela Gambino,
riportato nel volume 101 storie sulla Sicilia
che non ti hanno mai raccontato (Newton Compton) –

hanno rilanciato sostanzialmente
questa sorprendente ipotesi
che identifica la «santa in piedi»
– il cui corpo incorrotto
è posto rialzato nell’abside
della chiesa di Montevergine di Messina –

come possibile modella e ispiratrice del capolavoro,
così da mettere a confronto diverse tesi
che sembrano comporre un mosaico dall’indubbio fascino.

Le ipotesi, inoltre, riprendono e integrano
quelle elaborate dallo storico messinese Giuseppe Miligi
(autore anche di un’apprezzata biografia
sugli anni «messinesi» di Giorgio La Pira).

Egli, infatti, nel capitolo intitolato
in modo significativo «Il pittore e la clarissa»
del suo volume Francescanesimo al femminile
osserva come Antonello – nato nel 1430 –
ed Eustochia – nata nel 1434 –
siano davvero i personaggi di maggior rilievo
espressi nel XV secolo da Messina;

una città rinascimentale che,
come osserva acutamente
in una recente monografia
lo storico Salvatore Bottari,
si stagliava sul Mediterraneo
come una metropoli mercantile
dalla grande vitalità culturale e religiosa.

Antonello certamente non poteva non conoscere
il ruolo e l’attività svolta da Smeralda-Eustochia,
sua vicina e coetanea,
la cui fama stava sviluppandosi velocemente.

Il piccolo Antonello, inoltre
iniziava la sua attività di apprendista
precisamente a ridosso della «contrada dei setaioli»,
dove Eustochia Smeralda trascorse la sua infanzia
e la prima adolescenza.

Antonello degli Antoni, infatti,
era nato nella vicina contrada Sicofanti,
adiacente a quella
che veniva definita la via dei Monasteri.

Inoltre aveva la casa-bottega poco distante
sia dal monastero dell’Accomandata
– sito nell’ex ospedale della Santa Ascensione -,
dove Eustochia Calafato nel 1458 fondò
il primo monastero del Sud Italia sotto la regola
di santa Chiara -, sia da quello di Montevergine,
fondato Eustochia nel 1464.

Segni di una vicinanza
che non era soltanto geografica
ma anche di visione religiosa.

Sia Antonello sia Eustochia, infatti,
erano ferventi francescani,
entrambi aderenti alla linea degli Osservanti
dai tratti spirituali e ascetici
che contrastava polemicamente coi Conventuali.

Inoltre va considerato che Antonello,
terziario francescano, ardente cristiano
molto legato a uno spiritualismo puro,
al fine di sottolineare la sua aderenza
ai principi di povertà e umiltà,
chiese nel testamento del 14 febbraio 1479
di essere seppellito con abito dei Minori Osservanti.

La sepoltura, per di più, doveva avvenire
nel «convento Sanctae Mariae Jhesu
cum habitu dicti convectus»,
ossia il convento di Santa Maria di Gesù a Ritiro,
da tempo al centro del mistero
sulla localizzazione della «tomba di Antonello».

In questo contesto francescano
bisogna annotare inoltre
come uno degli sfondi più noti del pittore,
quello contenuto nella «Pietà»
del Museo Correr di Venezia,
raffiguri le absidi
della chiesa di San Francesco all’Immacolata,

simbolo di quella spiritualità francescana
– molto viva nella città peloritana –
che Garin fa coincidere
con le «origini del Rinascimento».

Oltretutto al fine di rafforzare
una costante attenzione al francescanesimo
dell’artista siciliano, si può contare sulla testimonianza
di tre autorevoli biografi del sommo pittore siciliano
(Bottari, Natoli e Pugliatti).

Essi, tra l’altro, mettono in luce anche il dipinto,
attualmente scomparso, che riproduce santa Chiara,
presente nel monastero di Basicò
– sede iniziale di sant’Eustochia –
e considerato un «precedente di Antonello»,
oltre a una tavola «antonelliana»
nella chiesa di San Francesco di Messina.

Anche in base a questa vicinanza religiosa
– come rileva la storica Caterina Zappia –
in Sicilia si è alimentata nel tempo una vulgata.

Questa identifica nell’«Annunciata»
del sommo Antonello
(attribuita fino al 1899 a Dürer e riconosciuta
dal Brunelli come antonelliana solo nel 1904)
«la Beata suora messinese Eustochia dei Calafati»
(L. Perroni Grande).

Una tesi che alcuni studiosi novecenteschi
hanno successivamente ripreso e rielaborato.

Tra questi Domenico Puzzolo Sigillo
dopo aver ammirato il dipinto e averlo raffrontato
con il corpo incorrotto delle clarissa,
scriveva nel 1925:

«Io credo invero
che non si possa ammirare
la bella Vergine leggente del sommo pittore messinese,
senza rivedere con la fantasia la Beata Eustochia,
nel silenzio arcano della sua cella».

Lo studioso peloritano rilevava inoltre la
«somigliantissima conformazione scheletrica
ed ossea delle medesime»
e trovava delle analogie uniche e particolari
tra le corporature e un’identica «sagoma zigomatica».

Somiglianze «evidenti»
riscontrate e ribadite inoltre
anche dal gesuita Francesco Terrizzi
e poi dallo storico locale Intersimone.

Quest’ultimo, nel 1956, in effetti,
parlava della santa messinese come
«inconsapevole ispiratrice di Antonello».

Inoltre, ribadiva, in conclusione, che
«vinto dalla grazia e dalla sua santità,
Antonello avrà voluto ritrarre
la pura bellezza di Eustochia
nel mirabile quadro detto l’”Annunziata”,
che dipinse verosimilmente nei primi mesi del 1461».

Ovviamente si trattava di un omaggio diretto
alla concittadina in odore di santità
ma che in quel periodo stava subendo attacchi
da parte di certi gruppi di «seculari e frati».

La somiglianza «impressionante» tra il ritratto
del celebre dipinto e il volto del corpo incorrotto
della «vergine più intellettuale, più spirituale
e più suggestiva allora vivente ed operante in Messina»,
si unisce inoltre ai legami davvero incredibili
tra Eustochia e il mistero dell’Annunciazione.

Come rileva, infatti
la Leggenda della Beata Eustochia,
biografia scritta dalle consorelle
subito dopo la sua morte,
la religiosa era nata «lo Jovedi Santo,
lo giorno de la Annunciata», il 25 marzo 1434.

Il luogo di nascita poi
apre a sorprendenti coincidenze,
dato che il quartiere dove si trova la casa natale
si chiama ancora oggi Annunziata,
quel vicum Annuntiatae
citato dal grande erudito messinese Maurolico,
sito nella zona Nord di Messina.

Tale quartiere, inoltre,
non è lontano dal Museo regionale
che ospita due capolavori antonelliani,
il Polittico di San Gregorio
e la tavoletta che ritrae la Madonna
con bambino benedicente
«con un francescano sul recto».

Miligi osserva, in aggiunta,
come ben quattro madonne «siciliane»
sembrino richiamare i tratti somatici della santa
(il citato Polittico di San Gregorio
e le madonne di Palermo, Monaco e Palazzolo Acreide).

Queste opere ritraggono delle «Annunziate»
con tratti eloquentemente mediterranei e meridionali,
come sottolineato anche da autorevoli storici medievisti
quali Pispisa e Tramontana.

Un «tipo fisico reale, sempre lo stesso»,
rilevò successivamente l’illustre storico dell’arte
Alessandro Marabottini in occasione
della Mostra Antonelliana di Messina nel 1981,
che farebbe pensare a una donna
«vera che lo ispirò e il cui viso venne idealizzato dal pittore»
attraverso l’«astraente visione» di una figura di riferimento.

A ciò si aggiunge poi il fatto che – come mette in rilievo
Elena La Fauci Di Rosa in un studio edito
dal Monastero di Montevergine – il velo che copre
il capo dell’«Annunciata» somiglia molto
a quello delle clarisse e si avvicina
alle mantelle azzurre usate dalle ragazze siciliane
che «sanno di chiostro» (Savarese).

Aggiungiamo, tra l’altro,
come anche la parte scollata del petto della Madonna
assomiglia a un tipico soggolo,
usato dalle monache di quell’epoca,
come la Monaca di Monza.

Inoltre la pagina del libro
che l’«Annunziata» sembra sfogliare
è identificata da alcuni studiosi
nella Regola di santa Chiara, custodita gelosamente
da Eustochia Calafato di Messina
che l’aveva ricevuta
dopo un ritrovamento considerato «miracoloso».

A questi elementi si aggiunge infine che
– come osserva Principato –
il committente dell’«Annunziata»,
il banchiere locale Giovanni Mirulla,
era parente di suor Giovanna Mirulla,
seguace di Eustochia.

In conclusione, tutti dati che potrebbero confermare
il desiderio dell’artista di rendere omaggio
non solo all’Ordine, a cui era devoto,
ma anche alla concittadina
che di quell’Ordine era illustre esponente;
tanto che, realizzando dipinti di Madonne,
le rendeva tutte meravigliose «Annunziate».

Sergio di Giacomo, «E Antonello copiò la sua beata»,
in “Avvenire”, mercoledì 18 gennaio 2012, p. 27.

Foto: Antonello da Messina, Annunciata di Palermo,
olio su tela (47×34,5 cm), 1475 ca.,
Palazzo Abatellis, Palermo / it.m.wikipedia.org

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