Affido – Quando l’affido è vincente
«Cara vice-mamma»
Affido – Sono molto fortunata
perché ho avuto due famiglie:
una mi ha dato la vita
e mi ha fatto crescere,
l’altra mi ha permesso di studiare
con l’obiettivo di arrivare al diploma.
Non potrò mai dimenticare nessuna delle due».
Così scrive una ragazza
salutando i suoi «vice-genitori
prima di rientrare
nel nucleo familiare d’origine.
Affido – «Per la mia Prima Comunione
abbiamo fatto una festa molto bella:
c’era una torta veramente grande
e tutto intorno “le mie famiglie”:
eravamo tanti ma ci stavamo tutti».
Giuseppina è una ragazzina
che ha trovato nell’affido
la risposta ai suoi problemi.
Il suo caso è stato seguito
dal Cam di Milano,
Centro ausiliario per i problemi minorili.
Ecco, dunque, la sua storia,
come la racconta lei a “Noi genitori e figli”.
«Eravamo in tanti, a casa,
e le mie sorelle avevano già i fidanzati
che andavano e venivano.
Di quando in quando, alla sera,
non c’era un letto per tutti.
Così capitava che dovevo dormire
per terra sul tappetino
o altrimenti in un letto insieme con altri.
Questa situazione non mi piaceva.
Sentivo di non contare per nessuno,
tanto che a volte
neanche la mamma si accorgeva
se non tornavo da scuola.
Così avevo preso l’abitudine
di attardarmi per strada,
o di andare alle giostre
ovvero di fermarmi
a guardare i ragazzi che si bucavano.
Naturalmente non facevo mai i compiti
e a scuola ero un disastro.
Per questo motivo sono intervenuti
i servizi sociali,
che volevano trovarmi una sistemazione
in un’altra famiglia.
Nei primi mesi però
ho avuto una reazione strana:
non partecipavo ai discorsi
della nuova famiglia,
oppure inventavo storie inverosimili.
Ad esempio, dicevo
che i miei genitori erano ricchissimi,
che a casa mia
ricevevo tanti regali meravigliosi.
A scuola poi
me ne stavo per conto mio
e non mi impegnavo in nulla.
Un giorno però
ho visto alla televisione
una trasmissione
che parlava di un bambino
con due famiglie.
Così ho chiesto
alla mia “vice-mamma”:
perché non posso avere anch’io
due famiglie?
Lei mi ha risposto
che era proprio così,
e che avevo precisamente “due” famiglie:
una mi aveva aiutato a crescere
fino a quel momento,
ma quando il papà se ne era andato via,
mia mamma non poteva farcela da sola
a occuparsi di me
e perciò ero stata affidata
a un’altra famiglia
che mi voleva molto bene.
Io però – mi ha detto –
potevo continuare a voler bene
anche alla mia mamma.
Quando poi
finirò le scuole – ha concluso –
potrò tornare a casa con un diploma
al fine di aiutare la mia sorella più piccola.
Quando ho capito tutto questo,
lo dicevo ai quattro venti:
io sono veramente fortunata
perché ho due famiglie,
non una soltanto come tutti gli altri.
Ho capito anche altre cose.
Frequentemente gli adulti
si fanno molti problemi
pensando al fatto che il bambino
che entra in famiglia con l’affido
deve mantenere i rapporti
con la sua famiglia d’origine.
Qualche volta hanno ragione,
perché il rapporto tra le due famiglie
non è sempre e del tutto facile.
Però – e questo certamente
è stato il mio caso –
i miei “vice-genitori”
mi hanno incoraggiata a scoprire
i lati positivi
della mia famiglia di origine,
e quindi non c’è stata rivalità o gelosia.
Adesso è venuto il momento
di tornare nella mia prima casa.
Cara mamma Rosa e papà Guido,
vorrei dirvi di non preoccuparvi.
Troverò sempre il tempo per venirvi a trovare
il sabato e la domenica. Precisamente
come prima facevo con i miei genitori».
Antonella Mariani, «Cara Vice-Mamma.
Quando l’affido è vincente»,
in “Noi. Genitori & Figli”,
Mensile di vita familiare,
Supplemento ad “Avvenire” del
28 marzo 1999, n. 18, Anno III, pp. 4-6.
Foto: Quando l’affido è vincente / vitaria.net
Da sapere
1. Affido – Diecimila interventi in 15 anni
La prima città che ha «sperimentato»
l’affido di un minore è stata Torino.
Era il 1975 e l’idea consisteva nell’offrire
un sostegno alla famiglia di origine
che si trova in un momento di difficoltà.
Sei anni dopo – 1981 –
anche Milano attivò il servizio.
Ma l’affido è diventato patrimonio comune
di tutta Italia solo nel 1983,
con la legge nazionale sull’adozione (la n.184).
Le stime dicono
che fino ad oggi nella penisola
sono state effettuate
circa 10 mila esperienze di affido,
il che vuol dire 10 mila bambini
e ragazzi ospitati in famiglie
diverse dalle proprie.
Le regioni più sensibili,
a giudicare dai dati,
sono il Piemonte
(attualmente 1.600 bambini in affido),
la Lombardia (2.200)
e l’Emilio Romagna (500).
L’obiettivo è di evitare al bambino
l’esperienza dell’istituto di accoglienza,
permettendogli invece
di restare in un clima familiare.
Le modalità sono le più diverse:
a tempo pieno
o solo per poche ore al giorno,
ad esempio, al fine di aiutare
il minore negli studi,
o anche solo per il fine settimana;
per molti anni
ovvero per un periodo breve.
Nell’80 per cento dei casi
si tratta di affidi giudiziali,
cioè decisi dal Tribunale dei minorenni.
Il restante 20 per cento
sono consensuali,
ottenuti d’accordo
con la famiglia di origine,
che accetta di ricevere
un aiuto esterno per allevare il figlio.
in “Noi. Genitori & Figli”,
Mensile di vita familiare,
Supplemento ad “Avvenire” del
28 marzo 1999, n. 18, Anno III, p. 6.
2. Affido – In troppi comuni l’affido è sconosciuto
«Un bilancio positivo,
ma non del tutto soddisfacente».
Questo è il giudizio sintetico
che Donata Micucci,
presidente dell’Associazione nazionale
famiglie adottive e affidatarie (Anfaa),
anch’essa mamma affidataria da 9 anni,
dà dell’affido.
Un istituto
che è stato regolamentato solo nel 1983
con la legge sull’adozione.
Signora Micucci,
perché ritiene insoddisfacente
il bilancio dell’affido familiare?
Perché nei 16 anni
trascorsi dall’approvazione della legge
c’è stato uno scarso impegno
da parte delle istituzioni
al fine di far decollare l’istituto
dell’affido familiare.
Cosa è mancato?
Sono mancate soprattutto serie campagne
di promozione per il reperimento
delle famiglie disponibili all’accoglienza;
inoltre efficaci misure di sostegno
alle famiglie affidatarie;
infine, validi progetti di recupero
delle famiglie di origine.
Eppure in alcune zone d’Italia
questo già avviene…
Appunto: in “alcune zone” d’Italia.
Ma non è così dovunque.
In alcuni Comuni
il servizio di affido familiare
non è stato neppure attivato.
È solo un problema
di finanziamenti insufficienti?
No, piuttosto
è un problema di volontà politica.
Ad esempio:
la legge 285 varata dal ministro
per la Solidarietà sociale,
Livia Turco,
prevedeva uno stanziamento
di svariati miliardi
da destinare a politiche
a favore dell’infanzia.
Uno degli obiettivi era combattere
l’istituzionalizzazione dei minori.
Dunque, in questa occasione,
sono stati presentati
pochissimi progetti
destinati a promuove l’affido familiare.
Gli esperti dicono
che da qualche tempo
si nota un calo di disponibilità
all’accoglienza da parte delle famiglie.
È vero?
L’esperienza mi dice
che quando le famiglie
vengono cercate e sollecitate
in modo corretto,
la risposta di solidarietà è pronta.
Bisogna però che gli enti locali
capiscano che l’affido
è un istituto complesso,
e quindi la problematica
del reperimento delle famiglie
non va affrontato,
come spesso accade,
con pressapochismo o faciloneria.
Le campagne promozionali dei Comuni,
quando vengono lanciate,
vanno poi seguite nel tempo,
le disponibilità non vanno fatte cadere.
in “Noi. Genitori & Figli”,
Mensile di vita familiare,
Supplemento ad “Avvenire” del
28 marzo 1999, n. 18, Anno III, p. 7.