Andrea del Sarto

Andrea del Sarto – L’ultimo interprete dell’affresco fiorentino

Andrea del Sarto – Coetaneo e amico fraterno
di Jacopo Sansovino, commemorato in questa
sede pochi giorni fa, Andrea del Sarto
nasceva a Firenze il 16 luglio 1486,
figlio di un sarto.

Il suo posto nella storia dell’arte toscana
è fino ad oggi al centro di problemi critici
a causa della vasta ed eterogenea sorgente
dei suoi legami culturali, ma anche a causa
della fonte del suo stile, e della ricchezza
del suo modo di esprimersi pittoricamente.

Andrea, inoltre, è stato giudicato
frequentemente un eclettico,
riconoscendo peraltro nella sua maniera
citazioni disparate da artisti passati e coevi.

Più equilibratamente è stato però infine giudicato
come l’ultimo vero frescante fiorentino,
erede e gestore del linguaggio prospettico
e colorista della tradizione toscana,
aperto nella seconda fase della propria carriera
agli influssi romani, ma del tutto alieno
dalle trasformazioni manieriste.

Verosimilmente la sua vita assai breve
(Andrea morì infatti nella pestilenza del 1530)
gli impedì di fatto ulteriori evoluzioni.

La critica moderna dal Guiness (1889),
dallo Schaeffer e dal Knapp (1907)
sino alla Fraenkel (1935),
al Ragghianti e al Wagner (1950),

ha tormentosamente ricostruito ed interpretato
(frequentemente con grandi contraddizioni)
il mondo artistico di Andrea del Sarto,
fornendo di fatto di lui ritratti diversi,
da geniale creatore a metodico imitatore
di stili altrui.

Le due più recenti monografie
praticamente contemporanee,
quella di R. Monti (1965, 2a ed. 1981)
e soprattutto quella di J. Shearman
(1965, in due volumi)
sono infine riuscite a offrire
una ricostruzione più meditata storicamente

e che nel complesso addita in Andrea del Sarto
l’artista toscano
che con maggiori risultati di autonomia estetica
ha saputo far fruttare le diverse lezioni
di Raffaello, Michelangelo e Leonardo.

Andrea del Sarto
Andrea del Sarto, Ritratto di scultore / m.blog.daum.net

Indubbiamente all’osservatore
la personalità di Andrea risulta assai sfuggente
e sibillina, poiché la grande abilità naturale
per il disegno e il colore, che subito si nota,
non si accompagna, per la verità,
ad una altrettanto
grande autonomia compositiva.

Verosimilmente il giudizio
che ne formulò a suo tempo Giorgio Vasari,
allievo per un breve periodo di Andrea,
giudizio sfocato e che ha avuto peso secolare,
fino a creare una leggenda nell’800,
può essere criticamente rimeditato.

Scriveva, allora, Vasari nel 1550:
«Eccoci… pervenuti all’eccellentissimo Andrea del Sarto,
nel quale uno mostravano la natura e l’arte
tutto quello che può fare la pittura
mediante il disegno, il colorire e l’invenzione,

in tanto che se fusse stato Andrea
d’animo alquanto più fiero ed ardito,
sì come era d’ingegno
e giudizio profondissimo in questa arte,
sarebbe stato senza dubitazione alcuna
senza pari.

Ma una certa timidità d’animo
et una sua certa natura dimessa e semplice
non lasciò mai vedere in lui un certo vivace ardore,
né quella fierezza che aggiunta all’altre sue parti,
l’avrebbe fatto essere nella pittura veramente divino».
(Vasari, Vite, ed. Bettarini-Barocchi,
1976, IV, pp. 341-342).

Andrea del Sarto
Andrea del Sarto, Ritratto di Lucrezia del Fede / br.pinterest.com

Fu verosimilmente a causa di questa «timidità»
che Andrea concluse in seguito
un matrimonio sbagliato (sempre a detta del Vasari)
con Lucrezia del Fede,
donna bellissima e altera,
che però lo tiranneggiò per tutta la vita,
danneggiandolo anche professionalmente.

Nessuno tuttavia oggi crede più alle gravi colpe
della povera, capricciosa Lucrezia
e la posizione storica di Andrea prende luce
da ben altre considerazioni critiche.

Le commissioni che eseguì
(ci è rimasto un corpus di circa cento titoli),
svolte, per lo più, in quarantaquattro anni di vita,
esprimono chiaramente una vivacità
di interessi culturali, incentrati
sui tre «grandi» della pittura
del primo Cinquecento,

ma anche calibrati
in riferimento alla propria matrice culturale:
ossia Ghirlandaio, Botticelli, Cosimo Rosselli,
il suo maestro Francia-bigio.

Negli affreschi dell’Annunziata, ad esempio,
fra le prime sue realizzazioni
e che comprendono il famoso ciclo
della Vita di San Filippo Benizzi (1509-1510),

già si può notare chiaramente
il complesso utilizzo di influenze
e citazioni dal coevo ambiente artistico,
Fra Bartolomeo, Leonardo (lo «sfumato»),
alcune figure di Michelangelo.

Un probabile viaggio a Roma, inoltre,
mette Andrea del Sarto a conoscenza di Raffaello,
di cui riprende il fluido stile compositivo,
reso ancora più morbido
dal chiaroscuro di Leonardo.

Infine l’ampio, sicuro ordinamento prospettico,
con sfondi di architetture classiche nobili
e di accurata preziosità,
di pretta matrice fiorentina,
si unisce ad un colore terso e vivace,
raffinato e di palpitante suggestione.

Il senso della monumentalità, caro a Michelangelo,
comparirà successivamente, nella fase più matura.
Qui la narrazione per «storiette» ha ancora il sapore
dell’elegante modulo toscano del Quattrocento.
I personaggi però sono più corposi,
ben disposti nello spazio.

Andrea del Sarto fu soprattutto
uno smaliziato affrescatore;
lo dimostrano anche altre due
commissioni importanti rimasteci,
il ciclo della Vita di San Giovanni Battista
nel chiostro dello Scalzo (ca 1515),
assai danneggiato da cattivi restauri passati,

e L’Ultima Cena
del Refettorio di San Salvi (ca 1522),
sull’esempio dell’analoga composizione di Leonardo.

Per quanto riguarda gli affreschi perduti
vanno citati almeno due soggetti
assai lodati dai contemporanei
e noti attraverso copie:
la Parabola dei vignaiuoli a grisaille
(già nel chiostro dei Servi, 1512-1513)
e la Madonna di Porta Pinti (1514).

Ricchissima fu poi la produzione di quadri,
per lo più a soggetto sacro,
per chiese e confraternite.

Anche in essi la virtuosa qualità grafica
(Andrea fu davvero un abilissimo disegnatore
e di lui sono rimasti gran numero di studi
e di bozzetti) si rivela appieno:

ancora Raffaello per la composizione,
poi Leonardo per gli sfondi «en plein air»,
infine, Fra Bartolomeo per il pathos
e il plasticismo delle forme.

Andrea del Sarto
Andrea del Sarto, La Madonna delle Arpie, 1517, olio su tavola (207×178 cm), Uffizi, Firenze / it.wikipedia.org

La famosissima Madonna delle Arpie
(o Madonna di San Francesco) degli Uffizi,
firmata, è una pala d’altare commissionata nel 1515.
Le arpie, da cui prende il nome
e che così furono identificate dal Vasari,
sono in realtà delle sfingi, simboleggianti verosimilmente
l’Incarnazione (Shearman, 1965, II, p. 237).

La Madonna, in questo caso,
culmine di una poderosa struttura piramidale,
troneggia in piedi sopra un piedistallo,
con le gambe sorrette da angeli.
Ai suoi lati San Francesco
e San Giovanni Evangelista.

La sua posa plastica
(allo stesso modo di quella degli altri personaggi)
è resa particolarmente scultorea
dallo sporgere del braccio sinistro.

Con la mano infatti sorregge un libro
e un lembo del mantello contro la propria gamba
e su questo supporto il Bambino punta un piede,
creando così un nucleo di direttrici prospettiche
di sfondamento spaziale.

Anche la Madonna della scala (Madrid, Prado),
firmata e databile verso il 1522
(Shearman, ibid., p. 252),
è un altro superbo esempio
di composizione piramidale

in cui Raffaello e Leonardo
(anche per lo sfondo in «prospettiva aerea»)
sono rielaborati in un linguaggio
di forte plasticismo e di colore intenso.

La posizione della Madonna
e del Bambino è influenzata, inoltre,
dalla Madonna del pesce di Raffaello.

Verosimilmente la soluzione di Andrea
(caso alquanto raro)
fu adottata successivamente da Sansovino
per il suo gruppo veneziano
della Madonna della loggetta.

Ancora in altre composizioni sacre
il linguaggio strutturale di Andrea
si rivela di robusta vena compositiva
unita ad una grande dolcezza
e nobiltà di soluzioni coloristiche.

Scarsissimi sono, invece, i suoi ritratti,
ma tutti psicologicamente ben orientati.
Non sono i ritratti di Andrea certamente
espressione di condizione sociale
o di simbolismi ermetici,
bensì acute e benevole introspezioni
nell’animo del singolo individuo.

Costruiti con il colore,
pure se di ascendenza formalmente raffaellesca,
i suoi soggetti esprimono, in effetti,
l’attenta partecipazione del loro ritrattista.

Fra di essi spiccano, in particolare, il ritratto di donna,
forse l’amata Lucrezia del Fede (Madrid, Prado),
e il cosiddetto Scultore, che a causa delle ridipinture
non lascia ben capire che cosa in realtà tenga in mano
(Londra, National Gallery).

Quest’ultimo fu preso dapprima
per un autoritratto,
poi per gli scultori Jacopo Sansovino
o Baccio Bandinelli.
Lo Shearman (ibid., p. 238), invece
avanza l’ipotesi che sia un patrono del pittore,
un membro della famiglia Puccini.

Andrea del Sarto morì,
come racconta Vasari,
il 22 gennaio 1530 di peste,
quasi senza che nessuno se ne avvedesse,
poiché Lucrezia a causa della paura del contagio
l’aveva lasciato solo.

M. Antonietta De Angelis, «L’ultimo interprete
dell’affresco fiorentino», in “L’Osservatore Romano”,
mercoledì 16 luglio 1986, p. 3.

Foto: Andrea del Sarto, Nascita della Vergine,
affresco (410×340 cm), 1514, Chiostro dei Voti della
basilica della Santissima Annunziata di Firenze /
it.wikipedia.org

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