Paola Gambara Costa (1463 – 1515)
Nobildonna, terziaria francescana
24 gennaio
Paola Gambara Costa
nasce il 3 marzo 1463
a Verola Alghisi,
oggi Verolanuova (BS),
da famiglia aristocratica.
È la primogenita di
Giampietro Gambara
e Caterina Bevilacqua.
Il papà possiede
molte Signorie,
tra le quali Pralboino (BS),
dove vive
gran parte dell’anno
circondato
da conoscenze colte.
Dopo di lei
nascono altri sei figli:
Marietta,
che diventerà monaca,
Ippolita, madre
di quattordici figli,
Laura, vedova,
che si dedicherà
alla redenzione
delle giovani
di malaffare,
Federico, Lodovico
e Maddalena.
Paola Gambara Costa
È una bambina
bella e gentile
ed è la gioia
della sua famiglia.
Già in tenera età
recita a mente
il Rosario e,
ogni volta che può,
sparisce dalla vista
dei suoi genitori
e si mette in ginocchio
per recitarlo ad alta voce:
motivo questo
di stupore per tutti
perché ha solo 8/9 anni.
La sua devozione
e la sua discrezione
lasciano
parenti e amici
senza parole.
Presto Paola
manifesta la sua volontà
di consacrarsi
alla vita religiosa,
forse fra le clarisse:
l’aria che respira
in casa Gambara
è di autentica religiosità
con una particolare
inclinazione francescana
dovuta
alla presenza operosa
di Padre Andrea da Quinzano,
francescano del convento
di Sant’Apollonio
a Brescia.
Ma nel 1484, la sosta
presso i Gambara del conte
Bongiovanni Costa,
signore di Bene Vagienna (CN)
e scudiero
del Beato Amedeo IX,
al ritorno
da una missione diplomatica
per conto del Duca di Savoia
presso la Serenissima
Repubblica di Venezia,
cambia radicalmente
il destino di Paola.
***
Paola Gambara Costa
Il nobiluomo piemontese,
conosciuta
ed apprezzata la fanciulla,
la ritiene un ottimo partito
per il nipote Ludovico
Antonio Costa
(orfano di padre)
sul quale esercita
la patria potestà.
Il desiderio di Paola,
però,
è di entrare in convento.
Seguono lettere,
laboriosi consensi
tra le due famiglie,
c’è anche il benestare
della casa Savoia.
I genitori di Paola
prendono tempo
e il conte
Bongiovanni Costa
invia a parlare
con la ragazza
il Beato
Angelo Carletti
da Chivasso (TO),
vicario generale
dei minori osservanti.
Questi ascolta
i Conti Gambara e Paola
in separate sedi
e, dopo aver
tanto pregato,
al fine di prendere
la decisione giusta,
decide a favore
dello “stato coniugale”
contrariamente
all’intimo desiderio
di Paola.
La persuade che
come moglie e madre
sarà comunque
fedele e devota a Dio,
grazie alla fede.
Le cita
il Duca di Savoia
Amedeo IX
come esempio
di moderazione cristiana
in mezzo ai fasti.
Paola, dando
grande dimostrazione
di fede e umiltà,
cerca di rileggere
questi avvenimenti
come la volontà
del Signore
e acconsente
alle nozze.
Si tenga presente
che siamo sul finire
del sec. XV:
i matrimoni sono spesso
combinati in tenera età
e senza
possibilità di scelta
da parte degli interessati.
Paola Gambara Costa
Nell’autunno del 1485
si celebrano le nozze
tra Paola
e Ludovico Antonio
nel castello di Pralboino.
(da qui il doppio cognome
di Paola: Gambara Costa).
Lo sposo è esponente
di una famiglia
che dal prestito di denaro
sa salire ai massimi vertici
del ducato sabaudo,
e Paola, che viene
da un famiglia molto ricca,
porta una dote ricchissima:
6000 ducati d’oro.
Gli sposi,
nella primavera del 1486,
con grande
e lussuoso corteo,
attraversano Milano,
Alessandria, Asti e Torino,
dove dove sono accolti
dal giovanissimo
duca di Savoia Carlo I.
Giungono, infine,
nella città di Bene,
di origine romana
col nome di
Augusta Bagiennorum,
sottoposta alla Signoria
del Vescovo d’Asti
dal 901 al 1387,
occupata dal Duca
Amedeo di Savoia,
principe del ramo Acaja,
e divenuta, nel 1413
feudo dei Costa di Chieri.
***
Paola Gambara Costa
trasferitasi, nel 1486,
nel castello del marito
di Bene Vagienna (CN),
mostra la sua personalità:
educata, riflessiva,
di bell’aspetto,
la ventitreenne contessa
è molto diversa
dal marito,
amando
la vita riservata
e la preghiera.
Ludovico Antonio,
invece,
è incline
alla vita brillante,
ai banchetti
e a trascorrere
molto tempo
con gli amici
e poco con la moglie.
Nei primi anni
di matrimonio,
Paola cerca
di mitigare
i lati più austeri
e intransigenti
della sua fede,
e si concede
di seguire
le abitudini sociali
del suo rango.
Ma con il passare
del tempo,
i banchetti
e soprattutto i balli
cominciano a pesarle,
e la sua vera natura,
dedita alla riservatezza,
al raccoglimento
e alla preghiera,
emersa già dall’infanzia,
torna ad avere la meglio.
Paola Gambara Costa
A due anni
dal matrimonio,
Paola è in attesa
di un bambino
e questo placa un po’
l’animo prepotente
ed irruento del marito
che ha già iniziato
a considerarla sterile.
Nel 1488,
Paola lo partorisce.
Il bambino è battezzato
con il nome
di Gianfrancesco
portando il nome
di Giovanni,
in memoria
di Bongiovanni Costa
(zio del padre)
presente al battesimo
e Francesco,
per la grande devozione
di Paola
al Santo di Assisi.
In quest’occasione
Paola ottiene
che il marito
faccia distribuire
alla popolazione
una grande quantità di cibo.
Dopo una grande festa
al castello per il battesimo
del piccolo,
inizia il nuovo ruolo
di Paola,
madre cristiana,
che si impegna
affinché il figlio
cresca bene,
non solo fisicamente
ma anche spiritualmente,
con un’istruzione
profondamente religiosa.
Nel 1491, Paola
chiede di aderire
al Terz’ordine francescano:
con l’aiuto del Padre
Angelo Carletti
ha l’approvazione
del marito.
Sotto gli abiti signorili,
ma molto semplici,
indossa la tonaca
col cordone.
***
Paola Gambara Costa
in una lettera
al suo padre spirituale,
padre Angelo Carletti,
gli sottopone
i propositi
per le sue giornate:
«Sul far dell’aurora,
mi alzerò da letto,
mi porterò
alla Cappella di casa
ove farò le mie orazioni:
indi pregherò il Signore
e la Beata Vergine
per me peccatrice,
il mio caro marito
e quanti sono
della sua e mia casa.
Poi dirò
a ginocchia piegate
il Rosario
per le anime dei defunti
di tutte e due le famiglie,
per amici e conoscenti.
Se fossi malata,
lo reciterò a letto.
Finito il rosario,
attenderò alla casa
e alle cose
del mio Signor Consorte;
andrò poi
ad ascoltare la Santa Messa
dai Frati alla Rocchetta.
Ritornata a casa,
seguirò gli affari
della medesima.
Dopo pranzo reciterò
l’Officio della Madonna
e leggerò il libro
mandatomi da lei,
Padre Angelo.
Seguiranno
le mie faccende domestiche
e il fare, come potrò,
l’elemosina ai poveri.
A sera,
prima di cena,
farò un’altra
lezione spirituale
e dopo cena,
prima di coricarmi,
ripeterò il Rosario.
Ubbidirò a mio marito,
lo compatirò
nei suoi difetti
e avrò cura che questi
non vengano risaputi
da nessuno;
mi confesserò
di quindici
in quindici giorni,
farò quanto posso
per salvare l’anima mia».
Paola Gambara Costa
Il marito, però,
che non comprende
né approva il cambiamento
avvenuto nella moglie,
diventa più arrogante,
avido, duro, dissoluto.
Inoltre, invaghitosi
della giovane figlia
del Podestà di Carrù,
nel 1494
la conduce ad abitare,
per più di dieci anni,
nel castello di Bene,
sotto gli occhi
della moglie,
dei collaboratori
domestici
e delle persone
intorno a lui.
Paola è rinchiusa,
privata della sua libertà.
Non di rado,
il marito la maltratta,
con colpi, schiaffi
e perfino calci.
Si rivolge crudelmente
verso di lei
e la umilia all’estremo,
facendo sì
che i domestici stessi
non abbiano
alcun rispetto
per la loro padrona:
(a Verolanuova
c’è il detto
«è stata provata
come la beata Paola»).
***
Paola Gambara Costa
si rivolge al suo
direttore spirituale,
il Beato Angelo
Carletti di Chivasso
per un orientamento.
I consigli del francescano
la pilotano non già
verso una “fuga dal mondo”
in cerca
di penitenze espiatorie;
al contrario:
padre Angelo la aiuta
a restare in quel mondo,
tra la gente del suo ceto,
per dimostrare
che si può vivere anche lì
in coerenza con la fede
e per dare un esempio:
“prega
per la conversione
di tuo marito,
figlia mia,
sostienilo
finché si converta…”.
In questo modo,
Paola trova un senso
nella sua vita.
È sempre
la contessa Costa,
con in più un figlio,
e con la forza tranquilla
di resistere,
di continuare così
anche di fronte
all’infedeltà del marito.
Non esplode
e non si rassegna.
Sì, reagisce,
ma non come
una nemica
o una vittima,
ma come
una moglie innamorata
e preoccupata
di salvare suo marito
dalle reti di passione
che lo imprigionano
e portano alla perdizione.
Si prodiga nell’opera
di pacificazione
fra i congiunti
e nel 1492,
compone una lite
tra i cittadini di Bene
ed il marito
per diritti di acque.
Paola Gambara Costa
Gli anni 1493-1503
sono tempi durissimi
per le popolazioni
del Piemonte:
si susseguono
calamità naturali,
carestie, malattie
e la miseria è ovunque.
Così è a Bene,
Trinità e Carrù,
nelle terre dei Costa
in questi anni dolorosi
quando i poveri
vivono
in misere abitazioni
e giungono
a farsi il pane
con i gusci di noce.
La gente si avvicina
alle mura del castello
che racchiude i granai
nelle cantine
e le ricchezze dei signori.
I servi gettano
dai bastioni
gli avanzi
dei sostanziosi pasti
e tutti corrono
per mettere qualcosa
sotto i denti.
La morte
è una compagna
quasi quotidiana
di grandi e piccoli;
soprattutto i bambini,
i più deboli cadono
sotto la sua spietata falce.
Il conte Costa
non gradisce
la vicinanza
del popolo sofferente,
invece Paola soffre
con i poveri e li aiuta,
anche perché abituata
alla generosità
senza riserve
praticata nella casa natia
dei Gambara a Brescia.
Vende le terre
di Roncaglia
avute in dote,
per aiutare i poveri,
ed anche i gioielli
e il corredo,
intaccando persino
i granai del marito.
***
Paola Gambara Costa
Le usanze del tempo
e le preoccupazioni
del padre staccano presto
GianFrancesco dalla madre
per proseguire
la sua educazione
in un’apposita scuola
presso Chieri
e a far parte
prima dei paggi
e poi dei cavalieri
di Casa Savoia.
Per Paola
il distacco da lui
è durissimo;
da lì a poco
viene a mancare
anche Padre
Angelo Carletti
presso il convento
di Sant’Antonio
a Cuneo.
La Contessa si reca
al funerale,
ma cade malata
rimanendo
lontana da casa
per diversi giorni.
Negli anni successivi
inizia ad avere
attacchi di emicrania
molto forti.
Vive un momento
di serenità
quando nel 1500,
può tornare
alla casa natia
per rivedere
la sua famiglia
d’origine.
Al suo ritorno a Bene
riprende ad aiutare
di nascosto
la popolazione,
che è tormentata
dalla fame
e dalla carestia.
Paola Gambara Costa
Nel frattempo,
il figlio Gianfrancesco
sedicenne,
torna al castello,
dopo aver servito
alla Corte
dei Duchi di Savoia
come paggio.
Il padre si affretta
a organizzare un banchetto
per festeggiarlo.
Ma,
ad un certo punto
del banchetto,
la servitù è costretta
a spiegare
che il vino,
che il conte tiene in serbo
per le grandi occasioni,
è sparito,
essendo stato offerto
da Paola ai poveri.
Ludovico si adira
e accusa la moglie
di sperperare
i suoi averi.
Paola accenna
un modesto sorriso
e dice ai servitori
di vedere meglio
che la botte
considerata vuota
è in realtà piena.
Confidando
che queste sue parole
siano ascoltate da Dio
e fatto
un segno di croce,
scendono in cantina:
con meraviglia
la botte è colma
di ottimo vino
di qualità superiore.
Qualche tempo dopo,
mentre Paola
scende le scale
del Castello
con il grembiule
colmo di pane
da dare ai poveri,
è affrontata
dal marito
che le chiede
che cosa
porta con sé.
Paola,
dopo aver mormorato
una preghiera,
mostra il pane
che si è trasformato
in fragranti rose,
nonostante sia
pieno inverno.
Un giorno GianFrancesco
rimprovera la madre
per dei lavori
dimessi e pesanti
che fa personalmente
per l’ampliamento
della chiesa
e del convento
della Rocchetta,
di nascosto dal marito.
Ma Paola,
con quell’esempio,
vuole “recuperare”
con il proprio stile di vita
il figlio per riportarlo
ai veri valori,
affranta com’è
nel vedere crescere
e ragionare
GianFrancesco
come il proprio marito.
***
Paola Gambara Costa
Alla fine del 1504,
l’amante del marito,
da 11 anni vera padrona
del castello di Bene,
si ammala
improvvisamente,
colpita
da un morbo misterioso
che le procura
dolori lancinanti
e convulsioni.
Nessuno ha il coraggio
di avvicinarsi
alla camera dell’amante
dalla quale escono
grida e tormento.
Paola va da lei,
la perdona, la rincuora,
ma, soprattutto,
si dedica
instancabilmente
nei sei giorni di agonia
a quella che era stata,
per più di un decennio,
la sua causa di dolore
e di umiliazione.
Ma Paola
non si ferma qui:
oltre ad assisterla,
curarla e farle
i più umili servizi,
con dolcezza la convince
a cercare il perdono di Dio:
infatti muore riconciliata
per l’intervento
dei Padri Francescani
della Rocchetta.
Ma la vita di Paola,
che ormai si sta modellando
sull’imitazione di Cristo,
deva ancora riservarle
un’altra soglia
di ingratitudine,
in quanto il marito
la sospetta
di essere la responsabile
della morte dell’amante,
secondo lui avvelenata.
A questa
assurda supposizione
del conte Ludovico
Paola replica,
ancora una volta,
con il silenzio
e la preghiera.
***
Paola Gambara Costa
L’atteggiamento
non solo non cristiano
ma perfino disumano
del marito
dura per ben 12 anni,
durante i quali
Paola non fa che tacere,
pregare, piangere,
soffrire
per amore di Dio
e del marito
attendendo
con fiducia
la sua conversione.
Nel 1506,
Ludovico si ammala
e durante i lunghi giorni
di malattia, Paola
gli sta accanto.
Il conte Lodovico,
piano piano,
ritrova quel minimo
di fede
che permette a Paola
di convincerlo
a fare il voto
di visitare la tomba
del Beato Angelo Carletti.
La sollecitudine
e la tenerezza
che Paola manifesta
determinano soprattutto
un radicale cambiamento
nel marito,
che, finalmente,
capisce che donna
e che moglie è Paola.
Alla fine
della convalescenza
del conte Ludovico,
i due coniugi,
riconciliati
e confidenti in un Dio
di misericordia,
fanno un pellegrinaggio
sulla tomba di padre
Angelo Carletti,
già in fama di santità
e tanto vicino
alla vita di Paola.
Sulla malattia
e sulla guarigione
Ludovico scrive
una testimonianza,
che sarà poi inserita
negli atti
per la beatificazione
di padre Angelo.
Dopo anni burrascosi,
nella famiglia
torna la serenità.
Con il consenso del marito,
Paola organizza meglio
le opere di assistenza
e realizza persino
un “posto di ristoro”
per i poveri,
alle porte del Castello.
***
Paola Gambara Costa
il 14 gennaio 1515
è assalita da una febbre
improvvisa e violentissima
accompagnata
da fortissimi dolori al capo.
Paola va incontro
alla morte
con estrema lucidità.
Dopo essersi confessata
ed aver ricevuto
l’Eucaristia,
continua a pregare
e raccomanda
al marito ed al figlio
la perseveranza nella fede.
Spira con serenità
il 24 gennaio 1515,
e per la gente
di Bene
è subito santa.
La prima devota
di Paola Gambara Costa
è Bona Villa
dei signori di Villastellone:
la nuova moglie,
sposata dal vedovo
Ludovico Antonio
in seconde nozze,
a cui nascono
sei figli.
Paola viene sepolta
nella chiesa fuori le mura
della Rocchetta
che tanto aveva amato.
Nel 1536,
durante le guerre
tra Francesco I e Carlo V,
essendo andata
semidistrutta la Chiesa,
il corpo di Paola
è trasferito al Castello.
Successivamente
viene edificata in città
l’attuale Chiesa
di San Francesco
dove i conti Costa
provvedono
a costruire una cappella
dove collocano,
in una preziosa urna,
la salma,
incorrotta e flessibile,
di Paola Gambara Costa.
Il 14 agosto 1845
Papa Gregorio XVI
proclama Beata
la Contessa
Paola Gambara Costa.
Il 24 settembre 1847
il vescovo di Mondovì
fa dono di una reliquia
di Paola al conte
Francesco Gambara.
Questi la consegna
al parroco di Gambara (BS)
perché venga onorata
nella chiesa del paese.
Nella diocesi di Brescia
la memoria della Beata
si celebra il 23 gennaio.
Mentre
il Martirologio Romano
la celebra il 24 gennaio.
Foto: Beata Paola
Gambara Costa /
facebook.com