Maledetto

Maledetto… benedetto. Ger 17,5-8 – Domenica VI del Tempo Ordinario – C

Maledetto… benedetto. La prima lettura, tratta dal libro del profeta Geremia,
forma un quadretto sapienziale, costruito sul classico gioco del contrasto.
Con due scene ben equilibrate, parallele e speculari,
si oppone l’uomo che confida nel suo simile (vv. 5-6),
all’uomo che confida nel Signore (vv. 7-8).
Per il primo è riservata una maledizione, per il secondo una benedizione.

Il tema si percepisce fin dall’inizio
con una frase che dà la chiara e sicura intonazione:
«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo»,
anche se poi lo sviluppo è affidato all’esuberanza delle immagini
anziché a un protocollare sviluppo logico.

Tutto avviene secondo lo stile biblico e orientale in genere che,
alla freddezza del pensiero astrato,
preferisce lo scintillio della rappresentazione.
Le idee certamente sono presenti, però scorrono sul video
anziché trasmettersi sul filo della logica.

A noi, a dirla tutta, quelle alternative nette, taglienti,
danno un suono fastidioso. Risultano stridenti alle nostre orecchie.
«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo…
Benedetto l’uomo che confida nel Signore».

Possibile non ci sia una via di mezzo,
che occorra proprio scegliere tra benedizione e maledizione,
tra vita e morte, tra essere felici e disgraziati?

Non rifiutiamo certo la benedizione del Signore,
ma vorremmo anche assicurarci la protezione del potente di turno
(al giorno d’oggi, se non c’è l’appoggio di qualcuno che conta,
non si avanza neppure di un centimetro…).

Dio dalla nostra parte, va bene.
Ma mica possiamo rivolgerci a Lui quando ci sono delle fatture da pagare…

Insomma, noi siamo possibilisti.
«Tutto si arrangia», secondo la formula di un inossidabile uomo politico.
Esperti in compromessi, in accomodamenti,
lanciamo disinvoltamente qualche ardita passerella volante
tra quei due estremi che la prima lettura dichiara inconciliabili.

Le scelte di campo radicali proprio non le gradiamo.
Vorremmo scegliere senza dover lasciare nulla.
Pretendiamo giocare in campi diversi.
Camminare in molte direzioni.
Decidere senza impegnarci veramente.

Chiedo in prestito questa storiella ad Anthony De Mello,
nel suo libro La preghiera della rana:

Un ateo precipitò da una rupe.
Mentre rotolava giù, riuscì ad afferrare il ramo di un alberello,
e rimase sospeso tra il cielo e le rocce trecento metri più sotto.

Consapevole di non poter resistere a lungo,
venne folgorato da un’idea:
«Dio!» urlò con quanto fiato aveva in strozza.
Silenzio. Nessuna risposta.

Gridò di nuovo:
«Dio! Se esisti, salvami e io ti prometto
che crederò in te e insegnerò agli altri a credere…».
Ancora silenzio.

Subito dopo, fu lì per lì per mollare la presa dallo spavento,
nell’udire una voce possente che rimbombava nel burrone:
«Dicono tutti così quando si trovano nei pasticci…».

«No, Dio, no!» – egli replicò, rincuorato
«… Io non sono come gli altri.
Non vedi che ho già cominciato a credere,
solo perché sono riuscito a sentire la tua voce?…
Ora non devi fare altro che salvarmi
e io proclamerò il tuo nome fino ai confini della terra…».

Riprese la voce:
«E va bene… ti salverò. Staccati dal ramo!».
«Staccarmi dal ramo? – strillò l’uomo sconvolto – Fossi matto!».

Esiste anche una variante del finale.
Di fronte alla prospettiva di lasciare il ramo,
quello si mette a berciare nel silenzio che si è rifatto all’intorno:
«Ehi, lassù… Non c’è qualcun altro?».

Dobbiamo ammetterlo, siamo fatti così.
La fede come rischio, come «salto», ci fa paura.
Ci teniamo aggrappati tenacemente al nostro ramo,
ai nostri innumerevoli rami.

Ci fidiamo – un po’ – di un Dio che ci rassicuri.
E se Dio ci offre solo la garanzia della sua Parola, della sua Promessa,
pretendiamo un altro Dio più «comprensivo», più affidabile.

Non ci rendiamo conto che la fede in un Dio rassicurante,
fornitore di tutte le sicurezze,
non è più fede ma calcolo.

Ritorniamo al nostro testo.
Inizia con un’affermazione nitida, ma anche sconcertante:
«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,
che pone nella carne il suo sostegno».

C’è già tanta sfiducia nel mondo, siamo già tanto diffidenti e circospetti!
Le dolorose esperienze di tradimenti, infedeltà
e intrighi messi in atto a volte da persone insospettabili e da amici
ci hanno portato a coniare il detto fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
Siamo indotti a immaginare secondo fini, a supporre
inconfessati progetti egoistici anche dietro le proposte più sincere e disinteressate.

Geremia ci invita forse a essere ancora più prudenti, a stare ancor più in guardia?
Non è questo il significato della raccomandazione del profeta.
Egli vuole darci un criterio di vita e di sapienza.
Ammonisce di non fondare la propria sicurezza sull’uomo che, pur essendo carne,
ossia limite, fragilità, miseria, ha la pretesa di porsi come assoluto.

Non porre la tua fiducia – dice – sull’uomo che ha la presunzione
di offrire tutte le garanzie a motivo del suo avere, potere, sapere.
Non fidarti dell’uomo che pretende essere la controfigura di Dio,
sostituirsi al Padreterno.

Chi lo fa è come un tamerisco piantato in luoghi aridi,
in una terra di salsedine dove nessun arbusto può svilupparsi e crescere.
Il mondo basato su questi pseudo-valori è come un deserto inabitabile,
è un luogo dove non si può sviluppare una vita sociale,
dove è impossibile vivere.

La seconda parte del nostro brano (vv. 7-8) descrive l’uomo benedetto,
quello che punta sulle azioni giuste, quelle garantite da Dio.
Costui è come un albero piantato lungo l’acqua.
Anche nel periodo del caldo mantiene le foglie verdi, produce frutti gustosi.

Chi gioca la sua vita sui valori puramente umani è maledetto.
Non vuol dire che Dio lo castigherà,
ma che si è rovinato puntando su valori sbagliati.
Geremia constata che la vita costruita sulle proposte degli uomini
si conclude con un disastro: di tutti i beni ai quali sono stati dedicati tempo,
energie, sacrifici, non rimarrà nulla

Chi fonda la sua vita su Dio invece,
chi crede nei valori da Lui proposti,
anche se agli occhi degli uomini appare come un fallito… è beato!
Non si dice che riceverà un premio, ma che ha indovinato la vita.

Il bene fatto, l’amore seminato, la pace che ha costruito
rimarranno per sempre.
«Il crogiolo è per l’argento e il forno è per l’oro,
ma chi prova i cuori è il Signore» (Prv 17,3) e,
alla fine, quello che conta è il suo giudizio.

Foto: Alberi / evangelici.info

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