Il problema della vita e del dolore

Il problema della vita e del dolore

Il problema della vita e del dolore – Si narra
che Demostene stesse, un giorno, cercando invano
di attirare, dall’alto della tribuna, l’attenzione
del popolo di Atene sui gravi problemi economici
e politici del momento.
Ma per quanto si sforzasse
non riusciva a farsi ascoltare.

Egli ricorse allora al seguente racconto:

«Un giovane noleggiò un asino
al fine di recarsi da Atene a Megar.

Era d’estate, verso mezzogiorno,
quando il sole è nel pieno della sua potenza.

Il padrone dell’asino e il viaggiatore
decisero di fermarsi un poco
al fine di riposarsi all’ombra,
e si misero a discutere
su chi di loro poteva pretendere diritti
sull’ombra dell’asino.

“Io vi noleggiai l’asino e non la sua ombra”
disse il padrone dell’animale.
“No, io noleggiai l’asino interamente”.

A questo punto Demostene,
il grande oratore greco,
interruppe il suo dire,
ma i presenti, vivamente interessati,
chiesero ad alta voce
che continuasse il racconto.

“Come”, esclamò Demostene, “l’ombra dell’asino
vi interessa di più dei vostri veri interessi,
e se vi parlo di essi fate fatica ad ascoltarmi?”.

Gli ateniesi compresero la lezione,
ma non seppero mai la fine del racconto»
(G. Barni).

La stessa cosa accade,
quasi sempre, ogni giorno,
sotto i nostri occhi.

Ci si interessa volentieri di tutto ciò
che è superficiale e secondario
(cioè scandali, pettegolezzi,
indiscrezioni, spettacoli),
ma solo raramente ci si dedica
a quanto è essenziale
per il nostro destino di uomini.

Tuttavia, come acutamente osservava l’Olgiati,
c’è un problema che, anche non volendo,
bisogna affrontare: il problema della vita.

«Io posso disinteressarmi – egli dice –
della questione sociale; posso non degnare
di uno sguardo le vicende storiche della Cina;
o posso alzare le spalle dinanzi ai dibattiti
per il classicismo e per il romanticismo.

Oppure posso proclamare col Pascoli
che il mio partito politico
è quello degli uomini senza partito;
posso scagliare un’insolenza contro tutti i filosofi,
tutti gli scienziati, tutti i poeti; posso dire:
a quei problemi non voglio neppure pensare.

Commetterò certamente una corbelleria,
agendo con questo metodo,
ma mi torna possibile mettermi
in una simile posizione spirituale
ed assumere tale atteggiamento.

Viceversa, non posso trascurare
il problema della mia vita».

Ora, se questo è vero per la vita,
è vero, soprattutto, per il problema del dolore.
Ogni uomo vivo, infatti, deve fare i conti
con il problema del dolore: prima o poi.

E da come egli lo giudica
– ossia lo accoglie oppure lo respinge –
dipende, molto frequentemente,
se i suoi giorni diventano un anticipo
e un tramite per il paradiso o per l’inferno.

Già, ma crediamo ancora, noi,
al paradiso ed all’inferno?

A guardarsi attorno, si direbbe: assai poco.
«Il mondo ha dimenticato
– nel suo agitarsi fra destra e sinistra –
che esiste un Alto e un Basso»,
ha scritto Franz Werfel.

Ma ciò ha complicato enormemente
anche la nostra vita di tutti i giorni.

Noi abbiamo tante cose
che i nostri nonni neppure potevano sognare:
siamo andati sulla Luna; e andremo ancora più lontano.
Abbiamo imparato a rattoppare il cuore umano
e a dare la vista ai ciechi con le pupille dei morti.

Ma non abbiamo più le uniche cose che, veramente,
possono aiutare a vivere: la rassegnazione e la pazienza.

Poiché «dopo tutto,
solo la morte è la vera vincitrice»; come disse
– in un raro momento di franchezza –
l’uomo più potente e temuto del nostro tempo:
Stalin.
E chi si sentirebbe di smentirlo?

Infatti nonostante gli antibiotici
e la streptomicina si soffre e si muore,
tutti i giorni – anche sui materassi di gommapiuma –
esattamente come ai tempi dei salassi
e delle sanguisughe.

«Solo gli utopisti – scrive Cosimo Petino –
possono credere
di eliminare la sofferenza dal mondo,
inabissandola magari nel fondo degli oceani.

Ma la sofferenza
non si lascia imprigionare da nessuno
e raggiunge tutti.

… A dire l’ultima parola sarà sempre essa
e a dettare le condizioni della resa
non saremo noi, ma la sofferenza».

Ma come si può essere pazienti e rassegnati
di fronte al problema della vita e del dolore,
se non si crede più?
E quale senso può avere la vita,
il dolore, la morte, senza la fede?

D’altra parte,
chi ha la fortuna di credere,
fa qualcosa, – fa tutto ciò che può –
perché lo sterminato numero
di coloro che dubitano
abbiano il conforto della speranza?

In un afoso pomeriggio d’agosto,
una decina d’anni fa,
un mio compagno di lavoro
– mentre passava un corteo funebre –
mi urlò in faccia queste parole:

«Se voi credete davvero
che la vita non finisce con la morte,
perché non lo andate a gridare nelle piazze?».

Questo rimprovero arrivò alla mia anima
come una frustata
e tenne occupata la mia mente
per parecchio tempo.

Giovanni Pastorino, «Prefazione»,
in «SEMI di consolazione»,
vol. 1, Genova 1975, pp. V-VII.

Foto: Peristeria Alata,
o Fiore dello… Spirito Santo /
pinterest.it

Lascia un commento