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Ezln – Gli zapatisti del Chiapas tengono testa ai narcos

 

Ezln – La recente escalation di attacchi,
omicidi e sfollati
è segno della rottura della «pax mafiosa»
tra crimine e autorità.
Nel mirino anche le comunità autonome
costruite dal movimento nativo.
che, però, non si arrendono
Nel Messico in guerra,
l’Ezln ha fatto da «scudo sociale».
Ma ora la violenza cresce

Ezln – «Il Chiapas è sull’orlo della guerra civile».
Parola del Subcomandante Galeano, meglio noto
come Subcomandante Marcos
nome che ha abbandonato nel 2014
al fine di assumere
quello di un compagno assassinato,
il maestro Galeano appunto.

Dietro il passamontagna, però, è sempre lui,
il docente di città, Rafael Guillén Solís,
“non volto” simbolo – lo ha sempre tenuto coperto –
dell’Ejercito zapatista de liberación nacional (Ezln).

Ventotto anni dopo l’insurrezione del movimento indigeno
al grido «terra e dignità» per i nativi del Chiapas
– i tre quarti della popolazione -,
tenuto ai margini da un sistema latifondista semi-feudale
rimasto immutato nei secoli,
il conflitto dilania di nuovo
lo Stato più meridionale e più povero del Messico.

Da qui, pertanto, la preoccupazione dell’Ezln,
espressa nell’ultimo comunicato ufficiale
del 19 settembre scorso,
e reiterata di continuo in via informale.

La situazione è grave nonostante lo “scudo sociale”
che il movimento zapatista è riuscito a costruire
intorno all’oltre un migliaio di comunità locali
sotto il suo controllo,
in conseguenza degli accordi di pace del 1997.

«Entità autonome rispetto al governo
da cui non accettano sussidi,
il principale strumento di corruzione.

Non vivono di assistenza
ma grazie a progetti di autoproduzione.
Inoltre sono rette da regole proprie
che non solo vietano di coltivare
e commerciare droga e di trafficare migranti
ma anche impegnano gli abitanti a curare la natura.

Le decisioni sono prese con un sistema collettivo
e la criminalità trova poco spazio per infiltrarsi»,
spiega Arturo Lomelí, antropologo e ricercatore sociale
dell’Università autonoma del Chiapas,
tra i maggiori esperti di zapatismo.

Nel resto del territorio, è stato il patto
tra i principali gruppi delinquenziali
– in particolare cartello di Sinaloa e Zetas – e autorità
a tenere lo Stato in posizione defilata
nella narcoguerra che da due decenni devasta il Paese.

La “pax mafiosa” era funzionale a garantire la stabilità
di uno degli snodi cruciali del traffico di droga
e di migranti dal Sud del Continente.

Con la scomparsa de Los Zetas e l’irruzione
del cartello di Jalisco Nueva Generación,
l’equilibrio criminale, però, si è incrinato.

A farlo saltare del tutto, le elezioni amministrative
dello scorso giugno che hanno ridefinito la mappa politica.

Elemento certamente quest’ultimo cruciale,
dato che in Messico, fin dall’inizio,
il crimine non è nato né in opposizione
né in assenza delle autorità nazionali,
bensì con la loro cooperazione.

Ancora più in uno Stato dove il potere
è in mano a proprietari terrieri e politici fedeli,
abituati a utilizzare guardie armate
al fine di tenere a bada i contadini.

Adesso, questi gruppi paramilitari
sono diventati manodopera per i narcos.
Conseguentemente, si sono moltiplicati i gruppi armati
e gli attacchi nei confronti dei civili.
Migliaia e migliaia di persone, perciò,
sono state costrette alla fuga.

Questo ha determinato, ovviamente,
la nascita di formazioni di autodifesa,
con il rischio di un’ulteriore escalation.

«Sono un effetto dell’offensiva sferrata
dalla criminalità organizzata»,
racconta padre Marcelo Pérez,
parroco del popolo tsotsil della chiesa di Guadalupe,
a San Cristóbal, tra le figure più impegnate
al fine della costruzione della pace nella regione.
Ruolo che lo porta a vivere sotto perpetua minaccia.

Infatti, uno dei suoi più stretti collaboratori,
il catechista e attivista Simón Pérez,
è stato assassinato a luglio.
«Il killer ha confessato che poi
sarebbe dovuto toccare a me.
Ma non ho paura.
Il sangue dei costruttori di pace non resta sterile».

Anche le comunità zapatiste sono nel mirino.
Almeno cinquanta di loro – secondo Lomelí –
hanno subito aggressioni.

L’Ezln, però, è deciso a proseguire
la sua «lotta per la vita».
Una resistenza radicata in ambito locale,
basata sul rafforzamento del tessuto sociale.
E, per questo, frequentemente, invisibile.

Come dimostra la scelta di non fare
incontri pubblici durante il tour europeo
appena terminato.

A parlare è, invece,
María de Jesús Patricio Martínez
alias «Mary Chuy»
leader del Congresso indigeno nazionale,
tagliata fuori all’ultimo dalle ultime presidenziali
a causa di motivi burocratici.

«Quando cresce la violenza,
con i suoi progetti di morte, come ora,
aumenta anche la nostra determinazione a combatterla.
Senz’armi, ma con molta forza».

Lucia Capuzzi, «Gli zapatisti del Chiapas
tengono testa ai narcos», in “Avvenire”,
domenica 2 gennaio 2022, p. 17.

Foto: Corteo a Chaneló in occasione
del 24esimo anniversario della strage di Acteal
dove furono uccisi in 45 / sintesis.com.mx

DA SAPERE

Ezln – La rivolta di 28 anni fa

Il primo gennaio di ventotto anni fa,
l’Ejercito zapatista de liberación nacional (Ezln)
impugnò le armi e conquistò
la città di San Cristobal de las Casas
contro l’emarginazione degli indigeni.

Dopo 12 giorni, venne dichiarata la tregua
e cominciò il negoziato che portò alla firma,
nel 1997, degli accordi di San Andrés,
rispettati solo dagli zapatisti.
Centrale la mediazione
dell’allora vescovo, Samuel Ruiz.

Nodi vecchi e nuovi
del cuore indigeno di una nazione

75% è la quota ufficiale di abitanti del Chiapas
in condizioni di povertà. Il 30% è in miseria estrema.

96% è il tasso di povertà fra la popolazione indigena
che in Chiapas è il 70% del totale

14.953 sono stati gli abitanti costretti a lasciare
le loro case a causa della violenza tra 2016-2020.

Da “Avvenire”, domenica 2 gennaio 2022, p. 17.

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